Elena Vitas, la regista geniale dalle molte vite che amava Svevo e la famiglia Mozart

Sociologa, femminista, autrice di guide fece del teatro strumento di indipendenza
Anna Rosa Rugliano
Elena Vitas
Elena Vitas

TRIESTE “Non avevano che genio: nient’altro!” definizione di Bobi Bazlen utilizzata come leit motiv delle Serate Sveviane progettate per l’apertura del Museo dedicato a Italo Svevo, da parole di scherno a sintesi di una visione della Trieste città di cultura in contrasto o in completamento con la Trieste città degli affari.

Nata a Trieste il 18 agosto 1948, avendo iniziato gli studi presso la scuola d’elite di Notre Dame de Sion, frequentata a suo tempo anche da Livia Veneziani Svevo, dove la lingua d’insegnamento era il francese, per passare poi a un soggiorno in Inghilterra per padroneggiare l’inglese e a un soggiorno in Germania con la famiglia, Elena Vitas si fa un’idea di Europa in cui ci si deve muovere partendo dalle letterature e dalle usanze, mettendo in secondo piano, pur senza escluderli, gli aspetti urbanistici e architettonici.

Il mezzo migliore è il teatro. Dopo la laurea nel 1971 in Sociologia all’Università Cattolica di Trento, Vitas chiarisce a se stessa che vuole uscire dal mondo borghese in cui è vissuta e imbocca la strada della contestatrice cavalcando la protesta femminista per l’uguaglianza della dignità delle donne e della libertà riguardo il proprio corpo. Non senza danni. Ma la famiglia le viene in soccorso evitandole il carcere.

Dal 1976 si era stabilita a Napoli, che diviene la sua città d’elezione. Qui tra gli altri conosce l’attore Renato Carpentieri, con cui inizia a studiare il teatro di ricerca, propone alla Rai di Napoli trasmissioni in tema nel 1983 e poi nel 1985 a Trieste.

Dai primi esperimenti, a Trieste con Tullia Alborghetti e Andreina Garella nel 1984, con “Ubu re” di Jarry, ambientato in set di appartamenti per pochi spettatori direttamente coinvolti, pensava di allestire “La locandiera” di Goldoni in una trattoria nei dintorni di Roma o di Trieste, ma questo rimase allo stadio di progetto. E lena Vitas considerava il Teatro come uno strumento essenziale di educazione alla vita e per questo si serviva delle marionette: scrisse anche una storia per bambini "Gasparino al teatro delle marionette", illustrata da Emma Bresola, che propose ad alcuni editori, ma senza esito.

Una vita molto complessa, quella di Elena, di lei si possono tracciare diverse biografie, una per ogni aspetto diverso della sua vita e dei suoi interessi: il suo impegno professionale come sociologa nell’organizzazione del Servizio di Salute mentale della Regione Campania per il decennio anni ’80, quello degli spettacoli “di strada” iniziati a Trieste nel 1991 per il bicentenario della morte di Mozart, il Concerto sul Canale nel 1992 e infine gli spettacoli Sveviani in piazza Hortis e itineranti dal Caffè San Marco alla Pescheria sul binomio Svevo-Joyce. Questo far teatro nello spazio urbano si lega e deriva dal suo concetto di città che esprime la sua cultura: una città da capire, insomma, non solo da visitare. E così nascono le sue guide turistiche pubblicate con Liguori, che descrivono Vienna, Parigi, Praga e Trieste.

Legge la città attraverso i suoi scrittori interpretando il pensiero di Italo Calvino, che congiunge il luogo fisico al luogo metafisico. Italo Svevo e James Joyce ben si prestano a dare questi due volti della città di Trieste che diventano luoghi della città del mondo. La guida “Trieste”, è sottotitolata, "Addio bigliardo, addio passeggiate", un'osservazione di Stefano Balli, il protagonista di Senilità di Svevo. Osserva nella sua prefazione che Trieste è una città eminentemente "camminabile", i personaggi della grande letteratura ambientata a Trieste fanno sempre, come i loro creatori, lunghe passeggiate: corrono da una casa all'altra, da un caffè all'altro, dal teatro alla biblioteca, dai moli ai negozi.

Altra biografia: la Elena Vitas privata, sicura e tenera, sprezzante delle convenienze ma ligia alle regole, di grande sensibilità e assoluta riservatezza. Ha grande bisogno di trovare amore e comprensione, ma è irriducibile sulla gratuità senza compromessi: il bisogno di essere amata per l’apprezzamento delle sue qualità personali non disgiunte dalle sue qualità professionali. Amava il teatro di Italo Svevo e lo leggeva riattualizzandolo in parallelo con il cinema di Woody Allen. I problemi della coppia, delle sue dinamiche e del suo equilibrio, dei rapporti personali e degli influssi su di essa degli standard sociali vengono portati nel linguaggio dello spettacolo con il cabaret “Lady be good” – sottotitolo “Perché l’amore non è più di moda? Perché è gratis!”, realizzati nel 2000 in ristoranti o pizzerie.

In Elena Vitas il teatro diventa lo strumento di affermazione della propria indipendenza intellettuale e soprattutto personale senza bisogno di smarcarsi dall’essere donna. Perché rifuggire sempre dal comparire in pubblico per firmare l’esito del suo lavoro? I lunghi capelli lisci e sciolti dondolavano ai lati del capo per la sua andatura quasi goffa per la timidezza, quasi che il lavoro teatrale fosse così intimo per lei da sentirsi troppo nuda di fronte al pubblico. Ma a ciò si aggiungeva anche il rapporto con gli interpreti, che considerava i veri protagonisti. E con loro poteva andare anche oltre il testo: rilegge “Aspettando Godot” in chiave translinguistica, con due attrici, Ariella Reggio e Lidia Kozlovich, nei panni femminili dei due protagonisti.

Elena Vitas era contaminata dalla vivacità creativa di Carlo Ludovico Bragaglia, il quale in una foto con dedica la definiva “Elena, fantasiosa, quasi geniale, piccante e deliziosa”. Amava molto il Futurismo per la molla di libertà espressiva, capace di rompere schemi sociali consolidati, ingessati e opprimenti e a questo stile dedicò più di un intervento a Trieste: al Museo Revoltella nel 1992, per il convegno europeo “Bibliotecari nella Nuova Europa” (trattato di Schengen) e nel 1999 in cui fece un collage di testi e musiche del futurismo russo di Majakovskij, del futurismo napoletano di Cangiullo e di quello triestino di Tullio Crali e del musicista Silvio Mix morto giovanissimo.

L’ultimo spettacolo è stato “La rigenerazione” di Italo Svevo nel 2002 pochi giorni prima della sua morte a Roma il 19 ottobre presso l’amica Tullia Alborghetti.

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