DeKo: «Con gli Alias nello studio di Pagani abbiamo conquistato Manuel Agnelli»
«Deko non è che l’abbreviazione del mio cognome, ho solo inserito la k che fa più tedesco»: il goriziano Enrico Decolle vive a Berlino da più di tredici anni. Dopo le esperienze con le band Alias e Breakfast, in Germania ha cominciato una nuova fase della sua carriera musicale, pubblicando anche un cd solista, “The Last Goodbye” la cui copertina è realizzata a mano come se fosse una vecchia lettera proveniente dal periodo DDR di Berlino, con timbri e francobolli originali dell’epoca. «Sono nato a Gorizia – racconta il musicista, cantautore e produttore – perché mio papà ci teneva a farmi nascere dove era nato anche lui. Poi però abbiamo sempre vissuto a Monfalcone».
Ha vissuto anche a Trieste?
Per un breve periodo. L’ho frequentata molto, era il luogo di gita e scoperta, anche musicale, con i negozi di strumenti come Rossoni dove si trovava di tutto. E ho lavorato come amministratore allo stabilimento balneare Le Ginestre.
La passione musicale nasce in famiglia?
Mio papà cantava e suonava per hobby, aveva il mito di Elvis Presley e delle colonne sonore dei film western di Sergio Leone, Morricone e simili. Ascoltavamo dalla classica ai Beatles, Harry Belafonte. Raffaella Carrà e Gabriella Ferri erano miti, Pilat un must per le feste.
La scintilla per diventare musicista?
Ricordo a metà anni ’80 un concerto di una punk band triestina, credo i Silence, nella palestra del liceo: mi ha scombussolato. E le ragazzine a bocca aperta sotto il palco non erano un dettaglio da poco. Ho imbracciato la chitarra di mia sorella a 17 anni e mi è scattato qualcosa, ho scoperto una passione viscerale.
Dopo varie band, nel 1998 gli Alias. È la svolta?
A Milano avevamo l’appoggio del triestino Maurice Andiloro, tecnico del suono alle Officine Meccaniche di Mauro Pagani. Pagani ci permetteva di utilizzare gratuitamente lo studio nei weekend con la “scusa” di non lasciare i macchinari fermi. A un certo punto stavo mixando un brano degli Alias e capita Manuel Agnelli, che ancora non conoscevo di persona ma ammiravo molto. Ascolta, si fa muto e chiede: “Questi chi sono?”. Io ero talmente emozionato che ha risposto Maurice, definendoci un gruppo triestino (perché Monfalcone era meno conosciuta, anche se il successo di Elisa avrebbe poi cambiato le cose). Il leader degli Afterhours non ha avuto dubbi: “Questo gruppo mi interessa, lo voglio produrre e portare in tour con me”.
E poi?
Da lì nasce un bellissimo percorso musicale con Stefano Vertovese al basso, Andrea Fontana alla batteria, Matteo Tommasi chitarra acustica e tastiere. Agnelli mi ha cambiato l’esistenza e gliene sono riconoscente. Con gli Afterhours abbiamo condiviso due anni di tour, eravamo il gruppo di spalla ufficiale. Indimenticabile un concerto al Leonkavallo di Milano, con 12 mila paganti dichiarati, grande soddisfazione.
Il sodalizio con Andiloro come nasce?
Avevo fatto il roadie e tecnico delle chitarre per il triestino Massimo Arban con i Jeko Baobab. Maurice era loro fonico. È nata una grande amicizia e un sodalizio tutt’ora in corso, una comunanza di interessi musicali che ci ha portato poi a creare la seconda esperienza importante della mia carriera.
I Breakfast.
Nel 2001 per Santeria/Audioglobe esce un primo album molto sperimentale al quale hanno partecipato diversi personaggi della scena musicale milanese che all’epoca frequentavamo, Giorgio Prette e Dario Ciffo (Afterhours), Cristina Donà, Sara Mazo (Scisma), Roberta Castoldi (sorella di Morgan), Giovanni Ferrario: un bel collettivo. Passavo tutti i weekend a Milano, dove ruotava il music business, è stato fondamentale.
Anziché trasferirsi a Milano sceglie Berlino. Come mai?
Nel dicembre del 2008 ci andai per vacanza e rimasi sconvolto. Rappresentava qualcosa di nuovo, in fermento, una New York europea, o simile a Londra, insomma una capitale che mi ha affascinato per l’energia, i concerti acustici, il livello altissimo dei musicisti. Volevo far parte di questa ondata acoustic folk. Lavoravo ancora alle Ginestre e facevo la spola, fino al 2010. Anno in cui è nato mio figlio e mi sono trasferito definitivamente. Una scelta d’amore nei suoi confronti. Ho voluto fare il papà, essere presente.
L’anno scorso ha pubblicato una nuova canzone, di cosa si tratta?
“Father” scritta per mio padre che è mancato poco dopo. È una dedica alla sua esistenza molto dura, da bambino orfano di guerra cresciuto con lo zio contadino. Per il videoclip ho trovato dei super8 che raccontavano alcuni episodi della nostra vita familiare. Commemorativo anche nei confronti di mia sorella che ho perso quattro anni fa.
Come si vive a Berlino?
È cambiata tantissimo. Quando sono arrivato mi sembrava consacrata alla musica, con tanti spazi. Ora è vittima della gentrificazione. Vivo comunque bene, la qualità della vita è alta, è una città enorme, piena di parchi. Estremamente multiculturale ma inserita in contesto tedesco, un sistema per certi versi rigido, se non parli la lingua sei tagliato fuori.
Pensa mai di tornare in Italia?
Mi manca la sua natura e la cultura e quando posso torno per godermi mare, colline, persone a cui tengo. Ma finché mio figlio è minorenne resto qui. Poi chissà, mi piacerebbe puntare al Sud, per il futuro mi attrae una vita “in infradito”.
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