Scatta la controffensiva per convincere Roma a cedere sulla Tripcovich
Uffici al lavoro per completare il dossier da inviare al ministero dopo il “niet” all’abbattimento. Ultima occasione di dialogo prima di passare alle vie legali
Foto BRUNI 23.11.2019 Sala Tripcovich
TRIESTE Il sindaco Roberto Dipiazza lo aveva detto: «Abbiamo perso la battaglia, ma non la guerra». Posate le armi per qualche settimana, giusto il tempo delle vacanze natalizie, il Comune riapre il faldone della sala Tripcovich, dopo il “niet” alla demolizione dettato circa un mese fa dal ministero per i Beni e le attività culturali. L’obiettivo resta sempre quello di convincere Roma della necessità di abbattere il teatro ex stazione delle autocorriere di largo Santos per dare luce all’entrata di Porto vecchio.
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L’intenzione di non mollare la presa è data anche dal fatto che il “parere negativo” del dicastero, che implica quindi anche il “no” alla rimozione del vincolo sull’edificio, non è definitivo. C’è infatti ancora un margine di dialogo tra i due enti pubblici prima di ricorrere eventualmente alle maniere forti ovvero a un ricorso, ad esempio. Il Comune, in particolare, elaborerà delle controdeduzioni da inviare al Mibact tramite la Soprintendenza. Con quest'ultima ha già aperto un dialogo proprio in questi giorni. Controdeduzioni che, specificano dal Municipio, punteranno a confutare la tesi di Roma integrando una documentazione più ampia sul cambiamento del contesto avvenuto attorno alla Tripcovich. Ma anche sottolineando come la nuova piazza s’inserisca in un progetto già avviato di rigenerazione urbana.
Per giungere a questo obiettivo, il primo passo è stato quello di fare richiesta di accesso agli atti alla Soprintendenza, che funge da tramite tra Comune e Mibact. In questi giorni è arrivata in piazza Unità infatti la lettera contenente le motivazioni che specificano meglio il famoso parere negativo.
Bisogna qui però fare un passo indietro. Cioè ricordare che cosa la Soprintendenza, tutto sommato favorevole alla riqualificazione della piazza con la demolizione del teatro, aveva inviato a Roma negli scorsi mesi. Passaggio quest’ultimo “obbligato” dalla riforma agostana dell’ex ministro per i Beni culturali Alberto Bonisoli che aveva imposto, per le richieste di rimozione del vincolo, di sentire anche il parere romano e non solo quello locale. Palazzo Economo aveva elaborato dei documenti allegando il progetto preliminare commissionato dal Comune allo studio di architettura triestino Gasperini con oggetto la trasformazione di largo Santos. Veniva quindi specificato che, in breve, era superiore l’interesse a risanare l’area, riportandola all’assetto ottocentesco, rispetto al mantenimento di una Tripcovich ormai inutilizzata e decadente; che appunto il contesto attorno all’immobile era cambiato dal 2006, quando era stato posto il vincolo, e che lo stesso edificio – peraltro contenente amianto - aveva subìto molte modifiche nel tempo. Elementi questi che però non hanno convinto gli uffici romani i quali, in linea generale, sostengono non si sia palesato alcun nuovo elemento dal 2006.
Si specifica poi che le diverse modifiche subìte dall’edificio negli anni Ottanta e Novanta - tra cui la trasformazione da stazione delle corriere a teatro e la rimozione del fascio littorio presente un tempo - in realtà non avevano costituito motivo ostativo già prima che fosse posto il vincolo. Si legge ancora nella lettera: «L’involucro esterno dell’immobile, tuttavia, ha conservato intatta una leggibilità che lo include a pieno titolo nel contesto urbanistico e architettonico triestino in puro stile “littorio”, evidenziando la modernità delle scelte funzionali ed estetiche adottate dai progettisti per la sua realizzazione». E dunque che il bene culturale resta «di notevole importanza e perciò degno di particolare tutela». Non ultimo, sulla «mancanza dei necessari requisiti di sicurezza« e sull’«evidente stato di degrado», ecco che il Mibact ricorda ancora che l’articolo 30 del Codice dei beni culturali e del paesaggio obbliga «lo Stato, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente e istituto pubblico a garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza«. Ora la palla passa dunque agli uffici del Comune, al Dipartimento dei Lavori pubblici diretto da Enrico Conte che ha ricevuto il non facile compito di studiare la lettera e di persuadere Roma. —
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