Nascono i cineclub e sullo schermo l’arte anticipa i temi della contestazione
TRIESTE Il ’68 triestino è da ricordare anche per il grande impulso che diede alla diffusione della settima arte nel territorio. Trieste è sempre stata una città legata a doppio filo al cinema: la prima sala della città, il Cinema Americano di proprietà del signor Boecher, fu aperta nel 1905, solo dieci anni dopo l'invenzione dei fratelli Lumière e la proiezione parigina al Salon du Grand Café. A partire dagli anni '50 la città si affermò come set per storie di spionaggio e traffici internazionali come Clandestino a Trieste, Cuori senza frontiere, Ombre su Trieste, Corriere Diplomatico. Ma all’inizio degli anni ’60 i grandi critici cresciuti sul territorio, come Callisto Cosulich, Tullio Kezich e Tino Ranieri, erano ormai lontani e non avevano praticamente più alcun rapporto con Trieste.
Quegli anni segnarono l’inizio di una nuova storia per il cinema triestino, fatta da persone che con i grandi critici del periodo precedente ebbero rapporti di stima, ma non di frequentazione. Il nuovo inizio si espresse attraverso la nascita di nuovi cineclub, il più longevo dei quali, la Cappella Underground, fu inaugurata proprio nel 1968. Nell’ultima intervista della serie dedicata al ’68 triestino parliamo di cinema con Sergio M. Grmek Germani, critico cinematografico ideatore e direttore del festival I Mille Occhi, che partecipò attivamente praticamente a tutti i cineclub del periodo.
In questo nostro percorso nel ’68 triestino abbiamo ascoltato le voci di Claudio Venza, Giorgio Tamburlini, Claudia Ponti, Mauro Gialuz, Gino D’Eliso, Aldo Colleoni, Miloš Budin, Giordana Panegos, Cesare Sartori, Marina Rossi, Franco Del Campo.
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