Dalle Olimpiadi di Città del Messico a una scuola diversa e possibile
TRIESTE Il 1968 non fu soltanto l’anno delle contestazioni studentesche. Il desiderio di cambiare il mondo investì anche il mondo dello sport: alle Olimpiadi di Città del Messico eloquente fu la gara dei duecento metri, in cui l’australiano Peter Norman, sul podio insieme ai due velocisti neri Tommie Smith e John Carlos, indossando la spilletta del Progetto Olimpico per i Diritti Umani fece propria la loro battaglia contro l’apartheid.
A rammentarcelo in questo suo ricordo di quell’anno è Franco del Campo , ex nuotatore e giornalista italiano, che partecipò proprio nel 1968 all'Olimpiade di Città del Messico diventando il primo italiano a disputare due finali olimpiche nel nuoto. Negli anni settanta ha fatto parte dello staff tecnico della nazionale italiana di nuoto. Successivamente ha insegnato teoria e tecniche della comunicazione politica alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università di Trieste. Il suo fu dunque un sessantotto “liquido”, giocato a suon di bracciate fino al debutto messicano, e formativo, quando al ritorno sui banchi di scuola partecipò a un’occupazione “gentile”, l’occasione per innovare tra contestazione e spirito di responsabilità.
A guidarlo fu una lettura illuminante che ispirò anche molti altri suoi coetanei: “Lettera a una professoressa”, di don Lorenzo Milani, che “raccontava una scuola diversa e possibile, dove nessuno doveva rimanere indietro”. Una lezione che, dice Del Campo, ha guidato anche i suoi passi successivi, nonostante il ’68 si fosse sgretolato il 12 dicembre 1969, con la strage di Piazza Fontana, “una “strage di stato”, che aprì le porte alla violenza del terrorismo rosso e nero, alla strategia della tensione e agli anni di piombo, ancora senza colpevoli”. Ma questa, per Del Campo, è un’altra storia.
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