Una cantina quasi dietro l’angolo per non guidare dopo aver bevuto
Questo il coscienzioso sillogismo che porta molti triestini a scegliere le osmize di Longera, facilmente raggiungibile coi mezzi pubblici dal centro eppure, allo stesso tempo, in una zona appartata e calma, circondata dai campi dove si coltivano le viti dalle quali poi si produce il vino che viene versato nei nostri bicchieri. Tra quelle presenti nella zona, l’osmiza della famiglia Coretti esiste da 10 anni ed è quella aperta con una maggior frequenza nel corso dell’anno (circa 3-4 volte). Ai suoi tavoli, si trovano a bere e a mangiare tanto gli abitanti della località o provenienti dalle vicine San Giovanni e Melara - il cui quadrilatero sovrasta dall’alto il paesaggio -, quanto i triestini dal resto della città.
Come spiega Damian Coretti, che assieme al padre Ivan e al fratello Marian gestiscono l’attività familiare, non è insolito servire ai tavoli anche persone provenienti da oltreconfine o addirittura da fuori Europa, tra gli studenti Erasmus e i ricercatori delle aree scientifiche. Poco tempo fa, per esempio, Damian racconta che, all’interno di una compagnia di studenti Erasmus, si distinguevano alcuni giapponesi alle prese con il clima d’estrema informalità rispetto a quello a cui dovevano essere abituati nel loro paese. Anche per chi arriva dal resto d’Italia, l’osmiza rappresenta quasi sempre una gradevole sorpresa.
Vagando alla ricerca di un luogo dove pranzare dopo aver arrampicato, Jacopo e Domenico si sono accomodati in un tavolo di Coretti. Entrambi sono giovani, provengono da sotto la “linea gotica” e hanno presto imparato ad apprezzare il folklore delle osmize: per Domenico essa rappresenta una «fuga dalla città», mentre a Jacopo ricorda «le osterie romane, cioè un ambiente popolare dove si mangia, si beve e si strimpellano le chitarre».
Mentre nei pomeriggi soleggiati dei fine settimana Coretti è presa d’assalto da orde di giovani “muli” assetati, nel corso della mattinata e attorno all’ora di pranzo, invece, l’osmiza è una sorta di seconda casa per gli abitanti di Longera.
In un tavolo appena all’esterno del locale, si può trovare solitamente il consigliere circoscrizionale Edvard Peter Krapez che, tra una sigaretta, un bicchiere di vino e una tartina, legge ben tre quotidiani in lingue diverse. In questa zona, infatti, è molto presente la comunità slovena, come si può dedurre dal fatto che ogni indicazione all’interno dell’osmiza sia scritta sia in italiano che in sloveno. Dai tempi in cui i conflitti tra le diverse componenti etniche di Trieste erano ancora aspri, oggi molte cose sono cambiate, tra le quali anche il modo di vivere le osmize. «Una volta – racconta Krapez -, i miei antenati portavano da casa le uova sode e poi in osmiza venivano a bere vino, mentre adesso si offrono tante cose anche da mangiare». Oggi, inoltre, si assiste anche a un ritorno delle nuove generazioni nei luoghi della tradizione: «I giovani di Longera hanno preso in mano l'agricoltura – prosegue Krapez -: hanno ammodernato gli impianti e puntano sull’economia familiare».
«Da giovani non andavamo quasi mai in osmiza e, oltretutto, oggi ce ne sono molte di più», racconta invece un gruppo di briose signore che si conoscono da circa cinquant’anni e che ogni giorno si incontrano in un bar di piazza Goldoni. Per una volta, invece, hanno approfittato del compleanno di due di loro per sostituire il vino al solito caffè.
«Una volta si parlava di fidanzati, poi dei bambini e ora di malattie – dicono -, però senza mai tralasciar il gossip». Seduti a un altro tavolo, Furio e Martina, ex-colleghi e ora buoni amici, sono venuti da Cattinara a Coretti per bere e mangiare assieme all'aria aperta, come spesso fanno nel corso della primavera.
«Una volta si spendeva di meno e si poteva venire anche con la propria merenda, mentre oggi è più simile a un ristorante», riflettono anche loro rispetto all’evoluzione delle osmize nel tempo. A proposito del sillogismo enunciato all’inizio, dopo anni d’esperienza si sentono si sposarlo appieno: «Scegliamo l’osmiza vicina a casa proprio per poterci tornare anche dopo aver bevuto tanto». «Una volta – aggiunge Furio -, non so nemmeno come ci sono tornato a casa…». —
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