Guanciale: tradizione e allegria. Heinichen: è come sentirsi a casa

L’attore: «In questi posti si respira una vera triestinità ancestrale»

Cosa possono avere in comune un attore di origini abruzzesi, Lino Guanciale, giovane, bello e tenebroso che deve la sua fama a serie TV di notevole successo e uno scrittore di noir, Veit Heinichen, nato in Germania, abile narratore di avvincenti storie criminali?

La popolarità, certo. Ma anche l’amore di una città, Trieste, che li ha accolti con affetto e, soprattutto, la voglia di cose semplici, autentiche, genuine. Con le osmize del Carso per entrambi è stato un colpo di fulmine. E se Heinichen ormai è a Trieste dal 1980 tanto da esserne uno dei più autorevoli conoscitori e critici del tipo costruttivo, Guanciale è entrato nel cuore dei triestini dopo aver passato nel capoluogo giuliano un anno intero per le riprese di “La porta rossa”, serie televisiva trasmessa in prima serata da Rai1 e molto amata dal pubblico televisivo.

Entrambi, con un approccio diverso, hanno interpretato lo spirito delle osmize e beneficiato del carattere primitivo e semplice del microclima che le caratterizza e non certo per apertizers frugali radical chic ma per gustarsi appieno l’anima godereccia delle frasche nostrane. Per lo scrittore tedesco, ottimo intenditore di vini e ed estimatore dei prodotti locali, le osmize sono «un rifugio dove incontrare amici, fare quattro chiacchere in libertà e vivere la socialità di Trieste senza orpelli e artifici». Per l’attore, «un luogo senza patina, eredità della cultura popolare, dove l’incidenza della tradizione è presente ma senza divenire per questo un’artefatta ricostruzione del passato che, a suo modo, è un mistificazione».

«Grazie a una regolamentazione molto snella – confida Lino Guanciale con i toni da attore teatrale qual è – in questi posti si respira una vera e propria triestinità ancestrale. Le osmize ricordano alcuni luoghi delle mie parti, come i locali nei boschi dell’Abruzzo dove si gustano gli arrosticini o le fraschette a Frascati, ma qui è tutto più casalingo, no frills».

Frequentate nelle pause di registrazione, le mangiate e soprattutto le bevute nelle osmize devono essere state memorabili per la troupe de “La porta rossa” anche se, su questo, Guanciale, glissa elegantemente. «Un bel ricordo delle osmize – dice – è l’usanza di condividere il tavolo e la gloriosa tovaglia a quadri con persone sconosciute. Il clima è genuino e allegro, sarà per questo che si mangia e si beve tanto...». Lino Guanciale sarà nuovamente a Trieste nei primi giorni di maggio per la messa in scena al Rossetti dello spettacolo “La classe operaia va in paradiso”, una nuova occasione per una puntata sul Carso alla ricerca di sapori di casa, magari all’osmiza Parovel che lo ha già ospitato, dove la Malvasia e l’olio ricavato dalle olive bianchera sono davvero indimenticabili.

Veit Heinichen, con le sue argute osservazioni sulle abitudini del popolo triestino, per gli amministratori e per i politici locali è stato spesso come gli ostinati refoli di bora nera originati da un osservatorio d’eccezione che è il Malabar di piazza San Giovanni. Nella città dotta di Saba, Svevo e Magris, inserendosi intelligentemente con un proprio DNA letterario, ha ambientato i gialli più famosi rendendo il suo commissario Laurenti (di nome Proteo, come il misterioso animaletto anfibio endemico delle acque sotterranee che scorrono nell'altopiano carsico) interprete di misteri e intrighi dietro ai quali si celano dinamiche cittadine ben note. In due dei suoi libri, “Morte in lista d’attesa” e “Trieste la città dei venti” le osmize occupano uno spazio importante, anche se, tra molte altre, alcune sono nella sua personale wall of fame. Skerk a Prepotto, ad esempio, «che pare voglia chiudere l’osmiza, una delle più belle e caratteristiche del Carso. Ma speriamo che ci ripensi – dice lo scrittore con amarezza - sarebbe un vero e proprio delitto, una perdita insostituibile».

«Mi sento a casa da Ferluga a Piscianzi – confessa Heinichen –, da Stanko Milic a Sgonico o da Boris Kosuta a Santa Croce. Sono tutti posti dove si percepisce la cura e l’attenzione sia per il prodotto sia per la gioia dell’ospite. In quasi tutte si beve molto bene in molte in modo eccellente. Il mio consiglio è di seguire le frecce e lasciarsi guidare alla scoperta del Carso: si troveranno molte sorprese, alcune davvero piacevoli altre meno, ma è il modo migliore per individuare la ricchezza di questo territorio». —


 

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