Paolo Mieli: «Da Go!2025 mi aspetto iniziative clamorose, finora non ne ho viste»

Il monito lanciato da un profondo conoscitore della città. «Rispetto a Matera, Gorizia ha un compito più difficile: deve saper lasciare il segno come faro per l’Europa»

Alex Pessotto
Paolo Mieli
Paolo Mieli

«Gorizia ha un impatto mediatico enorme per quanto riguarda il suo passato, fondamentale nel decretarne la fama. Questo impatto, tuttavia, è minimo se lo si collega all’occasione rappresentata dalla Capitale europea della Cultura. Gorizia, infatti, non è una città qualsiasi nella storia d’Italia e ciò lo si nota subito, ma l’insistenza sul tema di Go!2025 è scarsa. Mi aspettavo che l’evento partisse con un’iniziativa dietro l’altra ad evidenziarne particolarità e importanza».

Il garbo è quello di sempre, con le parole mai gridate, virtù di chi possiede autorevolezza. Eppure, sono proprio queste caratteristiche, unite a una notevole conoscenza del territorio, a render le parole di Paolo Mieli riguardo a Go!2025 ancor più incisive e sferzanti. Sul tema, questa volta, abbiamo sentito lui, giornalisti tra i più apprezzati e popolari.

Può definire il suo rapporto con Gorizia?

«La conosco bene. Mi è molto cara. Soprattutto, sono legato da anni alla stazione Transalpina: non c’è stata una volta in cui sia giunto in città e che non l’abbia visitata. Da una parte, permetteva di respirare il clima dell’Est europeo, triste, comunista, e, dall’altra, l’Occidente avanzato. Da un lato, faceva vedere una città con una storia lunga e, dall’altro, una città moderna, come venivano progettate le città socialiste. Ecco, se in me esiste un luogo dove rendermi conto di cosa fosse quella linea divisiva che tagliava l’Europa, questo luogo è la Transalpina: un monumento europeo, se non mondiale, che tutto il Vecchio continente dovrebbe conoscere».

Di fatto, lei non ritiene soddisfacente l’impatto mediatico di Go!2025.

«Gorizia rimane ovviamente fondamentale nella storia del nostro Paese, ma la gente ne sa quanto prima. Anche perché la città, negli ultimi vent’anni, ha lavorato su sé stessa in maniera eccellente, per quanto riguarda la cultura in termini di festival e incontri vari: in ciò, nessun’altra località italiana può forse paragonarsi a Gorizia. Ma, appunto, non mi sembra che ora ci sia qualcosa di eccezionale rispetto a quel che notavo in precedenza. Da Go!2025 mi aspetto allora iniziative clamorose, qualcosa che lasci il segno».

Cosa rappresenta Go!2025?

«Un tentativo di fare un salto definitivo in una dimensione che, peraltro, l’Europa non ha ancora raggiunto. Il Muro di Berlino è caduto nell’89, ma il conflitto russo-ucraino e altre tensioni trasferiscono in noi un’ansia che credevamo risolta 36 anni fa. La volontà di fare di Gorizia un simbolo dell’integrazione europea mi sembra azzeccato, proiettato nel futuro. Go!2025 permetterebbe di affermare il mondo che vogliamo, con l’Europa che ridiventa sé stessa, fusa, in controtendenza rispetto a quanto sta avvenendo. Quindi, la gestione di Gorizia-Nova Gorica non dovrebbe essere ordinaria, ma, in considerazione della situazione attuale, straordinaria generando spunti di riflessione non solo locali o relativi al confine orientale, bensì di dimensione Europa. Go!2025 può quindi diventare un simbolo del superamento di un secolo di divisioni».

Cosa si aspetta, allora, da una Capitale europea della Cultura: concerti, mostre, infrastrutture?

«Di regola, mi aspetto questo. Ma da Gorizia mi attendo di più: un’iniziativa in connessione con i problemi che ora sta vivendo l’Europa e che in varie sessioni, per esempio attraverso un congresso di alto livello, spinga a riflettere verso una vera fusione futura del Vecchio Continente».

Come valuta l’esperienza di Matera, Capitale europea della Cultura 2019?

«Matera aveva problemi da portare in evidenza e lo ha fatto. Il suo impatto è stato di successo, ma parliamo di una città simbolo dell’arretratezza dell’Italia che si proiettava verso la modernità, facendo di questa arretratezza un punto di forza. Matera si è allora rivelata all’altezza, ma aveva un compito minore rispetto a quello di Gorizia che, se vuol essere in linea con le aspettative, deve rappresentare molto di più».

Ha in mente di venire presto in città?

«Ad oggi, non ho ricevuto inviti, ma vengo a Gorizia ogni anno, e da parecchio tempo, sempre per quella stazione che mi basta guardare per vedere molto del passato, anche del mio, e trovare forza, fiducia per il futuro».

Che rapporto aveva con un goriziano d’adozione quale Demetrio Volcic?

«È stato un mio grande amico. Naturalmente, apparteneva a una generazione precedente: era molto colto e aveva vissuto, anche con una certa dose di sofferenza, la partecipazione in prima persona ai drammi del secondo dopoguerra. In lui, mi colpiva il modo dolce, mai risentito, mai tronfio, di affrontare queste problematiche, senza sicumere e sempre ponendosi dubbi».

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