«Alba o Aurora? Di mamma, slovena mandata in Italia, si ignorava anche il vero nome»
Dai racconti di Laura Cecchin emergono ferite del passato e drammi d’identità negata
![Laura Cecchin, la madre era originaria di Orecca di Postumia](https://images.ilpiccolo.it/view/acePublic/alias/contentid/1h5xz7lx3ng5iu2a01z/0/alba-jpg.webp?f=16%3A9&w=840)
«Mia mamma di famiglia slovena è nata a Orecca di Postumia nel 1921, quando era ancora Italia. Ha vissuto la miseria nera, e a 5 anni è stata mandata da una parente benestante a Sagrado, non sapeva una parola di italiano. Ha sofferto moltissimo e crescendo ha completamente rinnegato la sua identità slovena, solo da adulta ho capito i drammi che deve aver passato. E certo, a lei che è stata portata in Italia è andata meglio che ai fratelli rimasti oltre confine».
Questa è la ferita che il confine ha segnato nella famiglia di Laura Cecchin, di Sagrado, giunta con la sua vicina per la l’inaugurazione della Capitale europea della Cultura.
«Il suo nome è stato tradotto, e non erano nemmeno sicuri se dovesse essere tradotto in Alba o Aurora. Di lei non si sapeva con certezza nemmeno la data di nascita, sulla carta d’identità era scritto che era nata in giugno, ma secondo mia zia era nata in luglio», racconta Laura.
«Quando sua madre è morta nel 1950 non è nemmeno potuta andare al funerale», aggiunge. I primi anni dopo il 1947, anno in cui fu stabilito il confine da adottare dopo la guerra mondiale, furono gli anni in cui il confine era più rigido e invalicabile.
Ma nonostante tutto «grazie a mio padre» ha mantenuto un legame stretto con la famiglia al di là della cortina di ferro, anche se ha «scoperto di avere un nonno sloveno solo quando ero alle elementari, quando ha potuto per la prima volta valicare la frontiera». Con i parenti sloveni «ci siamo sempre aiutati», racconta. La prima volta che sono riusciti ad alloggiare da loro è stata negli anni Sessanta. «Ricordo che la polizia veniva ogni giorno per controllare che cosa facevano questi italiani. E i miei cuginetti mi prendevano in giro e mi chiamavano “maccaroni”, ci rimasi molto male», racconta.
Anche nel 2004, quando è caduto il muretto di Gorizia, era nel parco di Basaglia. Non poteva mancare ora. È venuta per godersi questo giorno in cui Gorizia e Nova Gorizia collaborano in un progetto condiviso. Una grande emozione, che l’ha portata a commuoversi «più volte». «Bisogna goderci questa giornata, ce la siamo meritata. Se la sono meritata le generazioni precedenti», afferma.
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