Regeni, la confessione di un altro testimone: «Un agente egiziano disse: lo abbiamo fatto a pezzi»

Ascoltato dalla procura l’uomo che ha intercettato la conversazione di Magdi Ibrahim Abdelal Sharif in un ristorante a Nairobi: «Raccontava delle torture, delle botte e poi del colpo di grazia»

"Sentii dire dal maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif: ‘Nel nostro paese abbiamo avuto il caso di un accademico italiano che pensavamo fosse della Cia ma anche del Mossad. Era un problema perché era popolare fra la gente comune, andava tra i mercati. Finalmente l’abbiamo preso: lo abbiamo fatto a pezzi, l’abbiamo distrutto. Io l’ho colpito’. Così disse”. A parlare, in un ristorante a Nairobi nel settembre 2017, era uno dei quattro 007 egiziani imputati per la morte di Giulio Regeni. A sentire il violento racconto, e a riportarlo oggi davanti alla Prima Corte di Assise di Roma, un testimone protetto.

I quattro 007 sono accusati di aver seviziato il ricercatore prima di gettare il corpo sull’autostrada che da Alessandria porta al Cairo. “All’epoca - dice il testimone - facevo il venditore di libri. E mi trovavo al ristorante per incontrare un professore dell’università che voleva acquistare alcuni volumi”. Al tavolo accanto, “saranno stati circa due metri”, c’erano due uomini. “Erano un funzionario della sicurezza keniota e un egiziano, sceso poco prima da un veicolo diplomatico”. Secondo il testimone il dialogo è durato circa 45 minuti.

Le altre testimonianze

Nelle scorse settimane anche un ex detenuto palestinese ha raccontato di aver visto Giulio Regeni prima e dopo un interrogatorio in carcere. "Dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l'interrogatorio? Dove hai conseguito il corso anti-interrogatorio?" gli chiedevano i carcerieri nel corso degli interrogatori. La testimonianza è stata trasmessa in un documentario di Al Jazeera, mostrato oggi nel corso dell'udienza del processo davanti alla Prima Corte di Assise di Roma, che vede imputati quattro 007 egiziani.

"Ricordo più volte questa domanda ripetuta in dialetto egiziano. Non so se Giulio abbia risposto a meno - ha spiegato -. Insistevano molto su questo punto, erano nervosi. Lo torturavano con la corrente elettrica". Nella testimonianza l'ex detenuto ha spiegato di aver visto Giulio Regeni il 29 gennaio 2016, tra il pomeriggio e la sera, "mentre usciva dalla palazzina del carcere, passando nel corridoio, diretto al luogo dove avveniva l'interrogatorio. La lingua usata per interrogare era l'arabo e il dialetto egiziano. C'erano anche ufficiali che non avevo mai visto prima e un dottore specializzato in psicologia".

"Giulio era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati. Era a circa 5 metri da me - racconta il testimone -. Indossava una maglietta bianca, un pantalone largo blu scuro". In seguito “l'ho rivisto che usciva dall'interrogatorio, sfinito dalla tortura. Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla verso le celle”. Quando, ha spiegato il palestinese, “ero in quella struttura i miei familiari non sapevano nulla di me, non c’era nessun contatto col mondo esterno: la sensazione era quella di stare in un sepolcro. Sono stato sequestrato, detenuto e poi liberato senza un perché”.

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