Appello alla Consulta si apre uno spiraglio sul processo Regeni
Secondo il gup «c’è un’inammissibile zona franca di impunità». I genitori del giovane ucciso al Cairo nel 2016: «È una nuova speranza»
ROMA S’incomincia a intravedere la luce in fondo al tunnel del processo ai quattro 007 egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni tra il gennaio e il febbraio del 2016 al Cairo. Il gup di Roma Roberto Ranazzi ha infatti inviato gli atti alla Corte Costituzionale affinché si esprima in merito all’impossibilità attuale di mettere alla sbarra i quattro imputati perché le autorità egiziane non hanno notificato loro la notizia.
Nelle 31 pagine della sua ordinanza il gup stigmatizza l’atteggiamento «autoritario e antidemocratico» dell’Egitto che influenza la giurisdizione italiana e, in questo modo, stabilisce «una situazione di immunità non riconosciuta» violando in questo modo anche la Convenzione sulla tortura ratificata sia da Roma che dal Cairo.
Per Paola e Claudio Regeni, che anche ieri mattina erano presenti in aula, la decisione del giudice rappresenta «una speranza, un’occasione definitiva per sancire che questo processo si possa fare. Dopo oltre 7 anni di attesa si apre uno spiraglio concreto». Al centro della volontà del gup di ricorrere alla Consulta c’è, appunto, la questione dell’assenza degli imputati che, di fatto, da anni ha provocato una situazione di completo stallo nell’iter giudiziario. Ranazzi, recependo una richiesta avanzata dal procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Sergio Colaiocco, solleva ora davanti ai giudici della Consulta i rilievi sull’articolo 420 bis del codice di procedura penale in tema di «assenza» dell'accusato. In particolare la Corte Costituzionale dovrà decidere sull’articolo così come modificato dalla riforma Cartabia nella parte in cui non prevede che si possa procedere in assenza dell’accusato «nei casi in cui la formale mancata conoscenza del procedimento dipenda dalla mancata assistenza giudiziaria da parte dello Stato di appartenenza o residenza dell'accusato stesso».
L’atto di accusa del giudice Ranazzi è duro nei confronti dello «Stato egiziano che rifiutando di cooperare con le autorità italiane sottrae i propri funzionari alla giurisdizione del giudice italiano, creando una situazione di immunità non riconosciuta da alcuna norma dell’ordinamento internazionale, peraltro con delitti che violano i diritti fondamentali dell’uomo universalmente riconosciuti». E ancora: «Tale situazione di immunità determina una inammissibile “zona franca” di impunità per i cittadini-funzionari egiziani nei confronti dei cittadini italiani che abbiano subito in quel Paese dei delitti per i quali è riconosciuta la giurisdizione del giudice italiano in base alle convenzioni internazionali». Considerata la copertura mediatica internazionale dell’orribile delitto del ricercatore friuliano, secondo il gup «si può presumere con ragionevole certezza che i quattro imputati siano a conoscenza del procedimento penale in corso in Italia nei loro confronti».
La risposta della Consulta dovrebbe arrivare tra sei-otto mesi. E il procuratore Francesco Lo Voi ribadisce di aver «sollecitato il gup a rivolgersi ai giudici della Corte Costituzionale perché a nostro avviso esistono dei profili di ragionevolezza perché venga accolta. Staremo a vedere cosa succederà. Del resto la richiesta avallata dal gup è l’unica possibilità, nel caso in cui la Consulta dovesse accoglierla, per potere celebrare il processo: abbiamo un'ulteriore da strada da percorrere, rispetto a quelle percorse fino ad oggi e che purtroppo non hanno portato ad alcun risultato utile perché la situazione di impantanamento è tale che non si riusciva a venirne fuori».
Riusciremo finalmente ad uscire dallo stallo? Il giudice Ranazzi se lo augura tanto più che «le convenzioni internazionali sono state violate dall’autorità egiziana». Il gup cita l’art. 9 della convenzione sulla tortura in cui si afferma che gli «Stati Parte si accordano l’assistenza giudiziaria più vasta possibile in qualsiasi procedimento penale relativo ai reati di cui all'articolo 4, compresa la comunicazione di tutti gli elementi di prova disponibili e necessari ai fini del procedimento». Quest’ultima «disposizione della Convenzione non solo è stata ignorata dalle autorità di governo e dalle autorità giudiziarie egiziane, ma è stata osteggiata in modo palese». —
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