Paolo Rizzi si racconta: «Quella notte sulla zattera fra onde di venti metri»
che si concluse dopo sette giorni alla deriva: «Un miracolo»
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Un uomo con il mare dentro il Dna. È appena tornato da una traversata alle Azzorre, è rientrato dalla Spagna la scorsa settimana.
Paolo Rizzi, 64 anni il prossimo 5 ottobre, se non sta navigando come skipper lavora nella fabbrica di famiglia della moglie, Elena Pesle, altro mito del mare (campionessa del mondo di vela con il 420, compagna di sfide con Mitja Gialuz, presidente Svbg).
Anche la fabbrica vive con il mare: è la Rosenfeld, fondata dal bisnonno di Elena nel 1896, il più antico spugnificio d’Europa. Trieste con la Svbg organizzano due appuntamenti per celebrarlo: domenica alle 19 al museo Revoltella un incontro con Rizzi che racconterà la sua vita e soprattutto il naufragio del 1993; lunedì alle 18 nella sala d’arte del Comune si inaugura una mostra dedicata a Rizzi e alle sue avventure. Foto, video e memorabilia: così le chiama lui.
Rizzi, in mostra ci saranno anche i resti del naufragio?
«C’è tutto quello che è stato salvato e che non è finito in fondo all’Oceano. La radio d’emergenza, la bussola di rilevamento, il diario di bordo, il Gps portatile e ciò che resta del vestiario, anche il modellino in scala della barca. La Barcolana quest’anno ha un significato particolare. Ci sono una serie di combinazioni astrali: cade il 50.o anniversario della vittoria della barca di famiglia, Vento Fresco II, alla Barcolana del ’73. Una regata cui è legata la storia della mia famiglia: mio padre Umberto nel ’69 era al timone di Betelgeuse, la barca di Piero Napp che ha vinto la prima Barcolana. Ha portato in barca uno spinnaker decisivo per la vittoria».
Cosa fa Paolo Rizzi nella vita?
«Lo skipper, ma solo sulle rotte che mi interessano e mi vanno a genio. Ma è stata la mia professione. L’ho fatta per 10 anni per Bruno Tronchetti Provera, il fratello di Marco, a Portofino su uno Swan 60 piedi da regata e da crociera. Abbiamo navigato dappertutto».
Poi le avventure in Oceano...
«A Trieste, negli anni ’80 è arrivato alla Triestina della vela da Melbourne con la sua barca Luciano Sandrin, triestino emigrato in Australia, con un equipaggio di australiani per un giro del mondo. Gli australiani sono andati via, a bordo sono salito io con un altro triestino, Claudio Bertazzoni. La barca si chiamava Sabaloo, un Laurent Giles da 45 piedi. Abbiamo attraversato l’Atlantico e il Pacifico e siamo arrivati a Melbourne accolti da una folla festante di immigrati italiani che aspettavano sul molo».
Poi la prima regata sull’Oceano con Vento Fresco.
«Era l’85, stavo lavorando a New York quando è arrivata la telefonata di mia mamma. Giorgio Falck stava organizzando la prima (e unica) regata transatlantica italiana Portofino-New York. Mamma voleva farla con Vento Fresco. Sono ripartito per Trieste, mio padre ci ha aiutato a preparare la barca per le condizioni oceaniche. Il 16 giugno ’85 eravamo a Portofino alla linea di partenza. Grazie alla sponsorizzazione del Consorzio Riviera di Muggia varato dall’allora sindaco Bordon. La regata era organizzata dalla Perfetti, la gomma del ponte, il traguardo era proprio sotto il ponte di Brooklyn. Vento Fresco era la più piccola barca della flotta: dopo 52 giorni e varie traversie siamo arrivati vincendo la regata.
Tante avventure, ma la sua vita è stata segnata da quel naufragio nel ’93...
«Nell’87 e ’88 abbiamo fatto varie regate atlantiche Arc, abbiamo trascorso le stagioni ai Caraibi con Vento Fresco con l’amico Andrea Pribaz. Il 21 aprile ’93 siamo partiti dalle Isole Vergini per tornare a casa. Le cose si sono complicate dopo tre giorni. E dopo 15 di navigazione ci siamo accorti, per il meteo, che eravamo molto indietro. La situazione è precipitata il 10 maggio quando siamo stati colti dalla burrasca 700 miglia a ovest delle Azzorre. Crollo del barometro, vento fino a 90 nodi reali, 180 all’ora. Onde alte 15-20 metri con frangenti di 5 di schiuma. Una di queste ci ha travolti, la barca si è capovolta, sono finito in acqua, la cintura di sicurezza si è spezzata. Ho visto l’acqua azzurra, poi blu e il buio. Per fortuna erano le due del pomeriggio. Una volta riemerso ho visto la barca con la chiglia sottosopra, sono riuscito a prendere delle cime che galleggiavano e, sfinito, sono tornato a bordo. La barca aveva uno squarcio sulla fiancata. Andrea era sottocoperta, abbiamo recuperato quello che potevamo, lanciato in mare la zattera di salvataggio e abbandonato Vento Fresco che stava affondando.
Come siete stati salvati?
«Abbiamo passato una notte di inferno con la zattera che saliva fino in cima alle onde alte oltre 20 metri minacciando di rovesciarsi. Molte navi sono passate ma non ci hanno scorto, abbiamo sparato inutilmente razzi e fumogeni. La svolta è arrivata con la radio di emergenza. Dopo 7 giorni alla deriva sono riuscito a collegare in serie le batterie coi cerotti della cassetta di pronto soccorso e grazie a un filo di rame di un salvagente. Alla nostra richiesta di aiuto ha risposto il comandante di un aereo di Air France sulla rotta Parigi-Martinica. La Guardia costiera americana ha dirottato la nave più vicina e ci ha tratto in salvo. Era la Alidon, un cargo che portava cellulosa dal Nord Carolina in Scozia. Un miracolo».
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