Dal virtuale alle api. Così si costruisce il turismo su misura

La sfida del Museo del San Michele, vinta con la tecnologia, e la tradizione dell’osmiza riaperta nel nome dei nonni

Diego D’amelio

TRIESTE. Dalla realtà virtuale impiegata per rivitalizzare un museo impolverato al solido ancoraggio alle tradizioni per offrire ai turisti un’esperienza che è il racconto di una lunga storia di tradizioni familiari ed enogastronomia.

Il trait d’union sono i giovani, che con la propria passione stanno mostrando modi nuovi per fare turismo e pure per salvaguardare quel mare che ha fatto e farà la fortuna di Trieste.

L’appuntamento triestino de L’Alfabeto del futuro si chiude con la voce dei ragazzi. Chi partecipa alla realizzazione di un’esposizione sulla Prima guerra mondiale basata sulla realtà aumentata, chi punta sugli insegnamenti del nonno per riaprire un’osmiza e dedicarsi alla produzione di miele e vino, chi si impegna nella progettazione di barche a vela da regata realizzate con materiali ecosostenibili.

Il primo progetto presentato è quello del museo del Monte San Michele a Sagrado (Gorizia). Lo racconta Enrico Degrassi, fondatore di Ikon Digital Farm, affiancato dai due giovanissimi neoassunti Edgardo e Tea. «Il museo languiva – così Degrassi – e in un certo senso aveva perso la voce. Per noi è stata una sfida: questo museo insiste su un luogo importante della storia della Grande guerra e del nostro paese, ma non aveva più la capacità di raccontare la propria storia». Da qui l’idea di un coinvolgimento immersivo da parte dei visitatori: «Abbiamo lavorato – continua Degrassi – su un museo vecchio stile, con vecchi pannelli e bacheche contenenti oggetti polverosi. Abbiamo usato la realtà virtuale e la realtà aumentata per innovare il modo di presentare questi contenuti. Con la realtà virtuale si può vivere in prima persona l’esperienza dei soldati che stavano in trincea o negli ospedali, si possono usare visori per immergersi nella vita quotidiana al fronte, perfino essere a bordo di un aeroplano. Accompagnati da testi in voce tratti dai racconti e dalle lettere scritte dai soldati. Ora il numero dei visitatori è più che decuplicato. I turisti spesso poggiano il loro sguardo in modo distratto, la tecnologia ci può aiutare a colmare questa lacuna».

Per chi sceglie gli ultimi ritrovati della tecnologia, c’è chi fa la scelta di ancorarsi con convinzione a un passato che parla vividamente anche al presente. Dimitri Cacovich ha solo 24 anni, ma lavora da tempo come viticoltore e apicoltore. Ha pure riaperto l’osmiza di famiglia: una pratica «nata ai tempi di Maria Teresa d’Austria – spiega – grazie alla quale le famiglie potevano aprire le porte di casa per otto giorni e vendere il proprio vino. Ogni triestino ha l’osmiza nel cuore, ma le osmize diventano sempre più una meta dei turisti».

Il turismo a Trieste significa anche mare, e di sostenibilità in ambiente marino - come quella cui si richiama il ricercatore Ogs Diego Panzeri che ha presentato il gioco di carte Fish n’ Ships - si occupano i ragazzi dell’Audace sailing team: una cinquantina di giovani, in maggioranza studenti di ingegneria con il pallino per l’ecologia. Il team leader Michele Bonetti spiega che «l’idea nasce nel 2019 da un gruppo di studenti che hanno unito la passione per il mare e la vela. C’è chi si occupa di progettazione, chi della produzione e chi testa le barche in mare e gareggia». Coi suoi due skiff l’Audace si è aggiudicato una lunga serie di vittorie nei campionati di settore: «Usiamo materiali ecosostenibili – spiega Bonetti – e il legno ha ancora molto da dire». Lo impiegano al posto della vetroresina e «usiamo anche la fibra di lino, che è meno impattante e con buone prestazioni. L’anno prossimo ci butteremo sul mondo dei foil, le barche “volanti” che vediamo in America’s Cup. Possiamo farlo usando materiali meno impattanti della fibra di carbonio».

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