Dalle banchine di Trieste all’entroterra, i binari disegnano la nuova logistica regionale

La “cura del ferro” voluta da D’Agostino per fare del Fvg un’unica grande piattaforma a servizio dell’Europa centrale

Diego D'Amelio

TRIESTE Zeno D’Agostino l’ha battezzata “cura del ferro”: è la terapia che ha permesso a Trieste di tornare centrale nelle strategie della logistica nazionale e al Friuli Venezia Giulia di potersi pensare come un’unica piattaforma logistica a servizio dell’Europa centrale. Il merito è della ferrovia, che consente alle merci di partire rapidamente e che ha messo in rete i terminal di terra di una regione che costituirà in futuro un unico retroporto.

Il primo capitolo della strategia è stato scritto nel 2015: il riordino delle manovre ferroviarie interne al porto, affidate alla società pubblica Adriafer, ha reso più rapide le operazioni per far uscire container e rimorchi verso l’entroterra. Da allora i traffici hanno cominciato a crescere e, prima della pandemia, hanno sfiorato i diecimila convogli all’anno: Trieste è diventata il primo porto ferroviario italiano e oggi movimenta via treno quasi il 60% dei cointainer in arrivo e partenza, eliminando una parte consistente dei traffici su gomma e del relativo inquinamento.

Roma ci crede e ha messo sul tavolo duecento milioni per raddoppiare la capacità del porto, arrivando a 25 mila treni all’anno entro il 2025. I lavori sono in corso. E qui si arriva all’ultimo capitolo della storia: l’ingresso dei tedeschi di Duisburger Hafen nella società dell’Interporto di Trieste. Il più grande operatore intermodale al mondo ha intuito il potenziale, ma la presenza di operatori terrestri stranieri non è una novità a Trieste, servita da ben sette compagnie ferroviarie, in maggioranza estere, con Rail Cargo Austria prima per volumi. Senza dimenticare che Hamburger Hafen non è solo primo terminalista portuale di Amburgo e concessionario della Piattaforma logistica, ma pure il proprietario della compagnia ferroviaria Metrans, il cui raggio di azione si estende fino al Caucaso.

Per disegnare la strategia ci voleva un uomo di terra come il veronese D’Agostino che sui treni ha costruito la prima fase della sua carriera nella logistica. «Bisogna cucire e potenziare l’esistente», ha sempre detto il presidente. Si sta procedendo allora alla messa a sistema, basata non sulla creazione di nuove tratte, ma sul riassetto delle stazioni dedicate alle merci e sul collegamento di tutti i vari punti dello scalo attraverso il ferro.

Il progetto di “regione porto” passa a sua volta dai binari e d’altra parte il Friuli Venezia Giulia ha un’estensione simile a quella dell’area retroportuale di Rotterdam. I nodi della rete sono stazioni e terminal di terra. A Trieste l’Interporto opera nell’area di Fernetti e nei capannoni di FreeEste, realizzati in regime di punto franco a Bagnoli della Rosandra, ma la società di cui Duisport detiene ora il 15% controlla anche l’interporto di Cervignano a Udine, con un potenziale ferroviario quasi del tutto inespresso, e sta trattando l’acquisizione della Sdag di Gorizia. In via di rafforzamento anche la partnership con il gemello di Pordenone.

La rete di terra tocca tutte le province del Friuli Venezia Giulia e la giunta Fedriga chiede di usare una frazione del Recovery Plan per incentivare nuovi insediamenti industriali in diretta relazione con gli interporti, affinché lo sviluppo dello scalo diventi un’occasione per fare trasformazione anche a cento chilometri di distanza. L’Autorità portuale guarda intanto oltre i confini nazionali, ragionando in prospettiva euroregionale: Duisport non ha pagato le quote nell’Interporto, ma le ha scambiate con piccole partecipazioni nei terminal di Fürnitz-Villaco e Budapest-Blik. La rete è destinata a estendersi. —

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