Nord Adriatico, la ricerca necessaria di una strategia comune
C’è bisogno di una regia regionale, e più ampiamente adriatica, per ritagliarci un ruolo rispetto alla preponderanza degli scali nord-europei nei flussi da e per l’Estremo Oriente
TRIESTE Il futuro dei trasporti è sul mare. Lo è per le grandi distanze più facilmente percorribili, per i minori costi, per la crescente capienza delle navi e degli spazi di stoccaggio a terra, per la maggior sicurezza e il minor rischio d’imprevisti. È una tendenza epocale che non muterà al mutare delle relazioni mondiali, destinate a diventare più regionalizzate che globalizzate, né con la probabile uscita dell’Italia dall’accordo con la Cina sulla Via della Seta, né con lo scenario bellico che da più di un anno ha colpito l’Europa. Anzi, tutto questo renderà il mare e i porti ancor più cruciali.
Altro è, ovviamente, la futura capacità dell’Adriatico, e in particolare di Trieste, d’intercettare questi flussi. Per questo il “Summit” internazionale sul tema organizzato lunedì 22 maggio in Porto vecchio da Il Piccolo e Il Secolo XIX di Genova riveste particolare importanza. Non è frequente riunire allo stesso tavolo gli scali di Trieste, Venezia, Ravenna, Capodistria e Fiume, insieme con il governo e con i grandi soggetti dello shipping. Eppure una strategia comune va data, altrimenti sarà lo svolgersi degli eventi a darla per noi, e non sarà mai quella che vorremo.
Lo scenario, anzitutto. Nell’ultimo decennio, i trasporti marittimi mondiali sono cresciuti quasi del 50% e toccheranno entro il 2026 il miliardo di container all’anno: come se la crisi finanziaria, quella del debito pubblico internazionale, il Covid e l’invasione dell’Ucraina non fossero mai esistiti. Di questi flussi, peraltro, gli scali italiani intercettano una fettina modesta: 12 milioni di container in totale, a fronte dei 45 della sola Shangai e dei 40 della sola Singapore, che singolarmente valgono quanto l’intero Mediterraneo. A farla breve, siamo molto piccoli.
Le misure “fisiche” di questo business sono sempre più imponenti. Lo sono le capacità delle navi transoceaniche, con il leader mondiale Msc sempre più impegnato nel “gigantismo” della capienza anche per staccare la sua rivale Maersk, che punta sulla qualità dei servizi e sulla logistica. Lo sono le dimensioni dei porti, in particolare quelli asiatici, tutti emuli di Singapore, che punta a costruire 21 nuovi moli entro il 2040, e tutti orientati alla ricerca di spazi a terra, con sistemi che si propongono di “impilare” fino a undici container uno sopra l’altro (lo si può fare, già oggi, a Dubai).
Tutto ciò non deve sorprendere. In epoche lontane sinonimo di tentativi avventurosi e rimessi alla bontà divina, oggi il mare è il luogo di trasporto più sicuro, economico, affidabile e di lunga percorrenza che esista. Il riflusso della globalizzazione, ora ripiegata in un mondo di legami economici e politici nuovamente polarizzati (gli Usa e l’Europa, la Cina, la Russia, l’India con l’Africa), accrescerà ancor più l’importanza dei porti, intesi come zone franche di flussi di traffico che le statistiche mostrano sempre più ramificati a dispetto del ritorno dei blocchi. E nulla cambierà, il prossimo anno, con la probabile disdetta da parte del governo Meloni dell’accordo Via della Seta con la Cina. Quell’intesa concerneva lo sviluppo e l’utilizzo delle infrastrutture portuali (soprattutto Trieste), ma i traffici seguono rotte di vantaggio e si disinteressano di chi gestisce cosa. Oggi il nostro scalo, anche a seguito dell’impegno americano e tedesco per fronteggiare la “minaccia” cinese, è saldamente europeo: in parte tedesco (Hhla Amburgo, che a Triestte significa Piattaforma logistica e futuro Molo VIII), in parte svizzero (Msc, socio di maggioranza della società che getsisce il Molo VII), in parte italiano e triestino.
Di qui l’esigenza di una strategia regionale e più ampiamente adriatica, per ritagliarci un ruolo rispetto alla preponderanza degli scali nord-europei nei flussi da e per l’Estremo Oriente. Conviene a tutti i porti adriatici (italiani, sloveni e croati) costruire “massa critica” e proporsi come un sistema territoriale, pur mantenendo – come doverosamente sarà – concorrenza reciproca. Conviene a Trieste spingere al massimo per l’utilizzo dei fondi Pnrr europei e valorizzare le unicità del nostro scalo, in particolare i fondali alti e una rete ferroviaria molto bene strutturata. Non competeremo mai con Rotterdam e Amburgo. Ma, con un colosso come Msc a gestire il nostro molo principale, l’aggiunta solo di qualche briciola alla fettina di cui sopra rappresenterebbe, per le nostre dimensioni, un salto enorme di traffici, sviluppo e lavoro.
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