Il ruolo chiave di Trieste nel rilancio dell’Adriatico come porta verso l’Europa

Lo scalo regionale ha sfruttato il nuovo contesto geopolitico e riacquistato centralità. Nel 2022 traffici record con i contenitori cresciuti del 16%. La sfida dei fondi Pnrr
Diego D’amelio

TRIESTE Porto italiano storicamente al servizio dell’Europa centrale, Trieste sta sfruttando a pieno il ruolo strategico che l’Adriatico sta assumendo nella logistica come via d’accesso al cuore del continente. Sempre più mare e sempre meno lago, oggi per terminalisti e operatori dello shipping l’Adriatico si pone in alternativa agli scali tedeschi, olandesi e belgi, che richiedono tempi di percorrenza più lunghi e i cui collegamenti ferroviari sono ormai paragonabili all’efficienza dei binari meridionali del corridoio Adriatico-Baltico.

In questo contesto Trieste gioca un ruolo emblematico. Da trent’anni il suo porto si distingue per i traffici dell’Autostrada del mare che collega la Turchia all’Europa e in tempi più recenti ha saputo attrarre l’attenzione dei grandi player che trasportano container dal Far East. Lo scalo ha così ridotto al minimo i danni della pandemia e si trova ben posizionato negli stravolgimenti geopolitici in atto, candidandosi a poter svolgere il proprio ruolo tanto nel quadro attuale, quanto in quello che prevede una fase di “deglobalizzazione”, riavvicinamento della produzione all’Europa e decollo dei traffici inframediterranei.

Trieste è porto italiano per appartenenza statale, ma la geografia ne fa un gateway continentale, le cui merci sono al 90% dirette verso un’Europa centro-orientale sempre più affamata di materie prime per i propri siti produttivi. I rimorchi dei traghetti turchi che quotidianamente attraccano ai terminal di Dfds, Ulusoy e Hhla, così come il greggio dell’oledotto Tal-Siot e i container del Molo VII vanno e vengono in primo luogo verso e da Austria, Germania, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Lituania, Belgio e Lussemburgo.

Il 2022 si è chiuso per Trieste segnando risultati mai visti. I contenitori hanno raggiunto gli 878 mila Teu: +15,92% sull’anno precedente. I 320 mila rimorchi segnano un +4, 75% sul 2021 e la toccata di 862 traghetti in 12 mesi. Il traffico di greggio conferma Trieste primo porto petrolifero del Mediterraneo anche se i quasi 38 milioni di tonnellate sono distanti dai valori pre pandemia. Il trend è in crescita nell’ambito ferroviario che, fra Trieste e Monfalcone, ha supera gli 11 mila treni annui. E poi c’è la novità delle crociere: complici le difficoltà di Venezia, le navi bianche mettono a segno il record assoluto di oltre 530 mila passeggeri, più che triplicati rispetto al 2021.

Questi numeri sono figli di un contesto storico ed economico che, grazie alla caduta del Muro di Berlino e al progressivo sviluppo produttivo dell’Europa centro-orientale, ha restituito a Trieste quel retroterra che ne aveva stimolato le fortune durante l’Impero asburgico. Ma se i processi esterni hanno un peso fondamentale, è difficile trovare in città qualcuno che non attribuisca al presidente dell’Autorità portuale Zeno D’Agostino la capacità di cogliere le opportunità e progettare il futuro del porto per i decenni a venire.

Il manager veronese ha rivendicato orgogliosamente i risultati della sua gestione in una recente conferenza stampa, suonata come il primo di una serie di bilanci che D’Agostino traccerà in vista del suo addio a Trieste alla fine del 2024, quando scadrà il secondo mandato alla guida dell’Authority. D’Agostino ha sottolineato il valore di una gestione incentrata sul ruolo del pubblico, capace in otto anni di triplicare il valore della produzione del network di società partecipate che sovrintende la gestione ferroviaria (Adriafer e Alpe Adria), il lavoro a chiamata (Alpt), le crociere (Ttp) e il retroporto (Interporto Trieste).

I risultati sono frutto ovviamente della collaborazione pubblico-privato, che in questi anni ha visto consolidare le presenze storiche e decollare nuovi progetti che daranno gambe al Piano regolatore dello scalo approvato poco dopo l’arrivo di D’Agostino a Trieste nel 2015. E se i terminal ro-ro di Dfds, Ulusoy e Samer ai Moli V e VI erano una certezza da far progredire al pari del Molo VII controllato da Msc, in questi anni hanno visto la luce la Piattaforma logistica e l’arrivo degli amburghesi di Hhla che prima o poi metteranno sul tavolo i disegni per la creazione del Molo VIII. Senza dimenticare il terminal che la società statale ungherese Adria Port metterà in cantiere dal 2024, l’acquisizione da parte dell’Autorità del porto di Monfalcone e i lavori di raddoppio della capacità ferroviaria promossi da Rfi.

Il processo di espansione viene ora accompagnato dagli oltre 400 milioni del Fondo complementare del Pnrr. Se alcune realizzazioni sono a rischio ridimensionamento a causa del caro materie prime e dei tempi stringenti per la consegna delle opere, l’iniezione di risorse (seconda solo al porto di Genova) sosterrà lo sviluppo dello scalo, ma è soprattutto la dimostrazione che l’Italia ha cominciato a credere nel porto triestino, che ha cessato di essere il fanalino di coda dell’Adriatico settentrionale e in alcuni casi ha anzi messo la freccia su vicini che sono al tempo stesso concorrenti e possibili alleati

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