La speranza oltre il dolore: il mondo si inchina a Papa Francesco
Nell’omelia risuonano parole come pace e accoglienza. Dentro la Basilica il faccia a faccia tra Trump e Zelensky fa auspicare un accordo sulla fine del conflitto in Ucraina

I cardinali escono dalla porta di San Pietro subito dopo la bara di legno con la croce bianca e lo stemma episcopale, e vista dall’alto la lenta sfilata dei porporati sembra un rivolo di sangue che poi forma una pozza alla destra dell’altare. Ma non è il dolore il sentimento dominante in questo addio a Papa Francesco.
È piuttosto la speranza, per il lascito di pace ai potenti della terra e al mondo intero. Trump e Zelensky faccia a faccia a parlare di guerra in Ucraina, Giorgia Meloni e Viktor Orbàn a testa china durante il passaggio dell’omelia su migranti e accoglienza. Tutto nella cornice millenaria di una Chiesa che misura la storia in secoli. Nel giorno dell’addio a Bergoglio, tra le 400 mila persone riunite, risuonano parole come pace, ragionevolezza, onesta trattativa, soluzioni possibili. «Perché la guerra lascia sempre il mondo peggiore di come era precedentemente», e giù scrosci di applausi a interrompere il ritmo della liturgia, le litanie dei santi, il canto in greco delle Chiese orientali.
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Non è un giochino dell’intelligenza artificiale. È successo davvero che Trump e Zelensky si siano seduti, uno di fronte all’altro, prima dell’inizio della messa. I minuti di ritardo rispetto all’inizio del rito dato per le 10 del sabato mattina, è dovuto proprio a questo incontro. Il primo dopo l’agguato al presidente dell’Ucraina, ordito nella sala ovale della Casa Bianca.
I sediari inclinano la bara di Francesco e la mostrano alla marea umana presente in piazza. Eccolo l’uomo che con la forza della sua parola può risolvere le crisi mondiali, eccolo colui che ha scelto gli ultimi, colui che ha parlato di ambiente e cambiamento climatico, eccolo il pontefice che non aveva paura di scagliarsi contro la politica del qui e ora. I leader mondiali osservano nei loro abiti scuri.
A differenza di quanto previsto, al presidente degli Stati Uniti Donald Trump e alla moglie Melania è stato riservato un posto in prima fila. Alla destra del leader Usa, il presidente finlandese Alexander Stubb, con vicino l’inquilino dell’Eliseo Emmanuel Macron e la moglie Brigitte. Posto in prima fila anche per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la consorte Olena. Dopo l’argentino Javier Milei, il posto d’onore è per la delegazione italiana, guidata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella accompagnato dalla figlia Laura, e dalla premier Giorgia Meloni. Tra gli italiani anche Mario Draghi.
L’omelia del cardinale Giovanni Battista Re, con i suoi 91 anni decano delle stanze vaticane e del collegio cardinalizio, è un messaggio politico chiaro e per certi versi radicale. «Filo conduttore della sua missione è stata la convinzione che la Chiesa sia una casa per tutti, una casa dalle porte sempre aperte», ha detto, rievocando poi un’immagine cara a Francesco, quella della Chiesa come “ospedale da campo” dopo una battaglia in cui vi sono stati molti feriti. Una Chiesa che si prende cura con determinazione dei problemi delle persone.
«Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi», ha ricordato Re. «È significativo che il primo viaggio di Papa Francesco sia stato quello a Lampedusa, isola simbolo del dramma dell’emigrazione con migliaia di persone annegate in mare. Sulla stessa linea è stato anche il viaggio a Lesbo, come pure la celebrazione di una messa al confine tra il Messico e gli Stati Uniti». E poi la sottolineatura di un’altra dimensione rilevante del pontificato di Francesco: il dialogo interreligioso, che ha avuto come acme il viaggio apostolico in Iraq nel 2021, nonostante i rischi connessi alla presenza dell’Isis.
I 130 cardinali fissano l’altare, con la bara poco distante. E tra loro c’è sicuramente qualcuno che sta guardando il proprio funerale. Perché è tra questi religiosi con le tuniche color porpora che sarà eletto il nuovo Papa. In prima fila c’è anche Camillo Ruini, ormai curvo sulla sua sedia a rotelle.
Alla fine il feretro di Francesco viene riportato in basilica e poi fuori dalla Porta della Preghiera, quella che ha utilizzato fino a domenica per entrare e uscire. La bara è stata sistemata sulla papamobile, perché prima di morire ha scelto di congedarsi definitivamente dal Vaticano e di essere sepolto fuori. Non accadeva da quasi un secolo, l’ultimo è stato Leone XIII nel 1924, ma la traslazione fu organizzata di notte e senza alcun corteo. Spaventava ancora il pericoloso precedente del 1881, quando a causa di forti tensioni politiche e anticlericali il corteo per il funerale di Pio IX venne assaltato e la salma per poco non finì nel Tevere.
Ma Josè Mario Bergoglio ha voluto rompere anche questo tabù. Riposerà per sempre a Santa Maria Maggiore, all’Esquilino, fuori dalle mura vaticane, sotto lo sguardo amorevole della Madonna col Bambino, la Salus Populi Romani. Il suo feretro è stato trasportato proprio con una delle auto dalla quale ha salutato le folle, lungo un percorso di quattro chilometri e mezzo nel centro di Roma, toccando Altare della Patria, Fori Imperiali e Colosseo. Ai lati della strada migliaia di persone, gente affacciata a balconi e finestre. Per Papa Francesco ancora applausi e rose bianche lanciate al suo passaggio.
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