La visita di Papa Francesco a Redipuglia e la teoria della guerra mondiale “a pezzi”

Il pontefice denunciò la follia degli armamenti, l’indifferenza e l’avidità che spingono allo scontro. Al cimitero pregò simbolicamente solo sotto la pioggia di fronte alla lapide di un soldato

Valeria Pace e Stefano Bizzi
Papa Francesco al Sacrario militare di Redipuglia (LaPresse)
Papa Francesco al Sacrario militare di Redipuglia (LaPresse)

L’avidità dell’industria di armi e la nostra indifferenza. Questi i mali che alimentano la Terza guerra mondiale combattuta “a pezzi”, denunciati, a cent’anni dallo scoppio della Grande guerra, al Sacrario di Redipuglia da Papa Francesco. Era il 13 settembre 2014, un sabato di pioggia in cui il fango insidiava le auto delle autorità militari, civili e religiose arrivate per l’occasione e pure gli abiti talari. Era il giorno della prima visita di Bergoglio in Friuli Venezia Giulia, a poco più di un anno dalla sua elezione al soglio pontificio.

In quell’occasione, nell’omelia pronunciata davanti ai gradoni del cimitero monumentale che custodisce le spoglie dei soldati morti nella Prima guerra mondiale, Francesco ha consacrato e consegnato alla Storia il concetto della “Terza guerra mondiale a pezzi”. L’espressione l’aveva coniata il mese precedente, di ritorno da un viaggio in Corea del Sud, parlando con i giornalisti.

A Redipuglia per la prima volta l’ha usata in un contesto ufficiale: «Oggi, dopo il fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni». Un’espressione che ci aiuta a capire meglio il presente con i fronti caldi che si moltiplicano e si avvicinano, come anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha sottolineato nel discorso di fine anno del 2023.

Le riflessioni di Papa Francesco sulla guerra in Ucraina: «Nessuno può salvarsi da solo»
Papa Francesco stringe la mano al presidente ucraino Zelensky (LaPresse)

Quel 13 settembre, per vedere e ascoltare il Papa, 40 mila persone si erano riversate al sacrario militare, anche se solo 10 mila erano provviste di regolare pass. Lo stesso numero dei soldati lì sepolti di cui si conosce il nome. Gli altri 60 mila sono militi ignoti un segno della «follia» della guerra, denunciata da Bergoglio nella sua omelia. «Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, trovandomi qui, in questo luogo, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia», le sue parole. «Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutti, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione», la continuazione del suo ragionamento.

Una follia che si deve combattere «con il pianto». E cioè con il coinvolgimento, con l’empatia e con il riconoscimento degli errori. Mentre viene alimentata dall’indifferenza: un concetto che ha scelto di personificare con Caino, il personaggio della Bibbia che nella Genesi uccide il fratello Abele per invidia: «Caino non ha pianto, non ha potuto piangere». Una storia che simboleggia la follia fratricida della guerra, la logica che porta ad annientare l’altro.

Nella Bibbia, quando Dio chiede a Caino: «Dov’è tuo fratello?», lui risponde: «Sono forse io il custode di mio fratello?». A questo passo Francesco si richiama esplicitamente traducendo la risposta di Caino in parole più immediate e semplici, che punteggiano l’omelia e, rilette, oggi fanno ancora riflettere: «A me che importa?». Una domanda che aveva ripetuto più volte e che ogni volta è arrivata all’uditorio diretta come un pugno nello stomaco. «A me che importa?»: «La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà, “A me che importa?”», le parole di Bergoglio.

Ed è dunque per questo che al sacrario di Redipuglia, dove popoli fratelli si ammazzarono in una guerra di trincea, disse: «L’ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo cimitero. Si vede qui, si vede nella storia dal 1914 fino ai nostri giorni». E ancora oggi si staglia, mentre popoli fratelli come russi e ucraini e israeliani e palestinesi si ammazzano. «Anche oggi le vittime sono tante. Come è possibile tutto questo?», si chiese il Pontefice quel giorno alzando la voce. «È possibile poiché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di danaro e di potere, e c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante! E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?”».

Prima della messa, Papa Bergoglio aveva visitato il cimitero militare austro-ungarico di Fogliano. Puntuale sulla tabella di marcia, era arrivato a bordo di una normalissima Golf. Accolto dalle autorità, aveva poi ricevuto da due bambini un omaggio floreale. Simbolicamente, il mazzo di fiori era stato poi posato su una delle 2.406 tombe con i nomi dei soldati identificati. Sotto una lieve ma insistente pioggia, il Pontefice si era quindi fermato in raccoglimento di fronte alla lapide di un militare ungherese il cui nome, per assonanza, ricordava proprio quello del Santo Padre: Pap Ferencs. In questo suo atto spirituale, aveva voluto rimanere solo e non si aveva voluto l’ombrello. Una seconda e più breve preghiera l'ha quindi recitata di fronte alla tomba comune con i resti di 7 mila soldati ignoti.

Riproduzione riservata © Il Piccolo