La fede al servizio dell’Impero
Quale altra città diede spazio come Trieste non solo alle diverse fedi ma anche ai loro templi, segnando l’identità del territorio e testimoniando della sua radicata storia, anche opportunistica, di integrazione?
A partire dal Settecento le diverse comunità religiose crebbero in città, divenendo lievito per la potenza commerciale dell’emporio. La passeggiata lungo le Rive e poi in Città Vecchia rivela, attraverso il metro dell’architettura, il ruolo rivestito nello sviluppo di Trieste. Nel 1719 Carlo VI proclamò il Porto Franco, ultima di una serie di iniziative volte alla creazione di un ceto mercantile. Si incoraggiò l’insediamento di commercianti esteri, di qualsiasi razza o religione fossero.
Maria Teresa d’Austria promosse a sua volta innovazioni nell’ambito dei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose non cattoliche, abolendo le forti restrizioni alla libertà di culto e dando il via ad un periodo di tolleranza religiosa che il figlio, Giuseppe II, definì con i tre editti emessi tra il 1781 e il 1785 con cui si estendeva la libertà religiosa alle popolazioni di confessioni cristiane non cattoliche presenti nei territori asburgici: i luterani, i calvinisti e ortodossi, gli ebrei.
E se nel Borgo Teresiano - il “Cameral District” di ispirazione olandese seicentesca - la zona centrale del Canal Grande fu posta sotto il segno cattolico con l’erezione della nuova chiesta parrocchiale di Sant’Antonio, attorno a esso l’integrazione multietnica portò alla costruzione di luoghi di culto di religioni diverse. Come la chiesta di San Spiridione della comunità illirica e greco orientale lungo il Canal Grande. E la successiva chiesa di San Nicolò dei Greci sulle Rive. Nel 1874 la Comunità evangelica di confessione augustana inaugurò la chiesa dall’inconfondibile silhouette neogotica nella piazza dei Carradori, oggi Panfili. La comunità ebraica, prima di inaugurare la superba sinagoga in via San Francesco, esercitava il culto nel Ghetto, dove insistevano più sinagoghe, alle spalle di piazza Unità.
Nella testata del Canal Grande venne costruita tra il 1768 e il 1776, in stile barocco, la prima chiesa di Sant’Antonio: “Sulla piazza di questo nome è la parrocchia di città nuova”, ricorda il conte Gerolamo Agapito nella sua “Descrizione di Trieste” (1830). Demolita già nel 1828, perchè troppo piccola per le esigenze del Borgo Teresiano che ormai contava più di 11mila abitanti, venne sostituita dalla nuova chiesa dedicata a S. Antonio Taumaturgo, progettata dall’architetto Pietro Nobile, uno dei massimi esponenti del neoclassicismo a Trieste ispirato dai celebri monumenti romani, e costruita tra il 1828 e il 1842. Sull’attico sei statue scolpite nel 1842 da Francesco Bosa raffigurano i Santi protettori di Trieste: Giusto, Sergio, Servolo, Mauro, Eufemia e Tecla.
Le libertà concesse da Maria Teresa richiamarono le popolazioni balcaniche, oppresse da secoli dal dominio ottomano. Già dalla prima metà del Settecento tra i commercianti stabilitisi a Trieste erano presenti serbi e greci – perlopiù negozianti e navigatori, ricorda Agapito - che contribuirono al rapido sviluppo dell’emporio triestino. Risale al 1748 l’intercessione dell’archimandrita Damasceno Omero che si recò alla corte di Vienna per ottenere l’autorizzazione di erigere una chiesa ortodossa a Trieste, spiega Lorenza Resciniti nel catalogo “Neoclassico” (1990): “L’autorizzazione giunse tre anni dopo, insieme alla concessione di fondare la comunità dei greci e degli illirici; Maria Teresa diede loro la possibilità di erigere un proprio tempio donando un sito di gran prestigio, alla destra del Canal Grande”. Per la costruzione del tempio dedicato a San Spiridione e alla santissima Trinità (1753) greci e illirici collaborarono, uniti nella stessa fede. Ma l’armonia tra le due anime religiose era destinata a non durare. La crisi fu innescata dalla lingua da usare durante i riti. L’impossibilità di trovare una soluzione sfociò in una scissione. Nel 1781 i greci, non soddisfatti dalla salomonica decisione di Vienna di far officiare alternativamente un sacerdote serbo e uno greco, si separarono, lasciando ai serbi l’uso esclusivo della chiesa di San Spiridione. L’edificio che conosciamo oggi ricorda lo stile neobizantino delle chiese orientali. Costruito nel 1869 dall’architetto Carlo Maciachini (quello che progettò il cimitero monumentale di Milano), sorge sulla precedente Chiesa di San Spiridione del 1753.
Poco dopo, dunque, i greci costruirono tra il 1784 e il 1787 una chiesa dedicata a San Nicolò e della Santissima Trinità in un luogo di altrettanto prestigio e di massima visibilità, eretto sulle Rive poiché a quei tempi, grazie anche ai commercianti greci, al porto approdavano ogni anno migliaia di battelli da tutto il Levante dove il Santo era molto venerato, anche come patrono dei marittimi. L’edificio fu poi ristrutturato nel 1818 dall’architetto tedesco Matteo Pertsch, che tenne bene a mente le soluzioni stilistiche della vicina chiesa madre.
Anche i sudditi evangelici di confessione elvetica, quelli di confessione augustana e i britannici di confessione anglicana residenti a Trieste vennero favoriti dalla casa d’Austria. Basti ricordare che grazie agli editti di Tolleranza di Giuseppe II gli elvetici poterono lasciare la loro prima cappella in piazza San Giacomo e, con il riconoscimento della loro religione, acquistare l’antichissima chiesa di san Silvestro, chiusa al rito cattolico per decreto giuseppino. Nel 1820 alcuni commercianti e operatori marittimi inglesi e statunitensi, in parte arrivati a Trieste in epoca napoleonica e residenti sui colli di San Vito e Sant’Andrea, decisero di fondare una comunità anglicana, separandosi da quella elvetica.
L’edificio neoclassico di via San Michele fu ufficialmente inaugurato il 26 giugno 1831 e intitolato a Cristo (Christ Church). La Comunità evangelica di confessione augustana, fondata a Trieste nel 1778 da commercianti provenienti dalla Germania, aveva ottenuto il proprio cimitero già nel 1752 e il permesso di osservare il culto in una propria chiesa nel 1775. A tale scopo nel 1786 i luterani acquistarono la chiesa intitolata alla Madonna del Rosario, dedicandola alla Santissima Trinità, che oggi si trova nella zona cosidetta del Ghetto. Nel 1870 tale chiesa fu rivenduta al Comune perché si era resa possibile la costruzione dell’attuale chiesa in Largo Panfili, già Carradori: aperta al culto nel 1874, fu progettata nel caratteristico stile neogotico dall’architetto Carl Johann Christian Zimmermann e fu costruita da Giovanni Berlam e Francesco Scalmanini. Non va dimenticata la congregazione mechitarista armena, presente a Trieste dal Seicento e che dal 1838 si ritrovava per le funzioni religiose nella piccola chiesa di Santa Lucia, tra via Santi Martiri e via Ciamician. Oggi, con ingresso nell’attuale via Giustinelli, si trova ancora la chiesa usata dalla comunità cattolica triestina di lingua tedesca: nel novembre 1894 il famoso alpinista e appassionato di musica Julius Kugy donò alla chiesa il proprio organo, realizzato a Vienna dai fratelli Rieger. —
(13, parte I - Continua)
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