Il “liston” inizia e finisce col mare
che nei giorni di festa permetteva di guardare e farsi guardare, con qualche sosta golosa
Una passeggiata a Trieste per scoprire suggestioni e peculiarità della nostra città. Da mercoledì 23 settembre pubblichiamo a firma della giornalista Sonia Sicco una serie di articoli che propongono itinerari urbani attraverso vie, piazze, rioni della città, per stimolare in chi quotidianamente li percorre l’occhio del viaggiatore.
Immaginiamo di avere tra le mani e di sfogliare una guida urbana dell’Ottocento e immergerci lungo le strade della passeggiata nell’atmosfera concitata, attiva, elegante della Trieste del tempo, dai caffè più esclusivi ai quartieri popolari. La prossima puntata dell’itinerario sarà dedicata a piazza Unità d’Italia.
TRIESTE In quale altra città il “liston” termina e ricomincia davanti al mare, avanzando tra le onde dell’Adriatico? Accade solo a Trieste ed è solo un segno del suo essere unica tra i tanti che si colgono camminando per piazze, strade e rioni della città. Il liston è la tradizionale passeggiata ottocentesca dei giorni di festa, diffuso in Veneto e in Friuli Venezia Giulia, a Padova come a Venezia, Udine, Verona. Ma solo a Trieste è proteso nel mare lungo il molo Audace e da qui, con uno sguardo, abbraccia la città intera.
Il liston è la striscia di pietra d’Istria o di marmo bianco usata fin dal Cinquecento per la pavimentazione e la decorazione delle piazze. A Venezia, modello nella passeggiata per molte città sotto la Repubblica di Venezia, il liston più famoso era in piazza San Marco, dalla Torre dell’Orologio verso il molo della Piazzetta, tra le due colonne di San Marco e San Tòdaro. A Verona toccava il lato occidentale di piazza Bra. A Trieste si dipanava sui robusti masegni tra piazzale Sant’Antonio e il molo San Carlo, oggi Audace.
Tutti vi prendevano parte, in una sorta di tableaux vivant antesignano delle “vasche” e dello “struscio” dove si guardava e si era guardati. Di tutto punto agghindati, con un fiore all’occhiello e il bastone da passeggio, azzimati signori e giovanotti della borghesia – zerbinotti, direbbe Italo Svevo – erano i primi a muoversi lungo le vie del centro. Verso mezzogiorno, al termine delle messe grandi a Sant’Antonio e a San Pietro e San Rocco (la chiesa allora in piazza Grande), il liston raggiungeva il suo culmine. Eleganti signore si univano alla passeggiata che offriva alle più giovani occasioni per un garbato corteggiamento.
Un punto di partenza era piazzale Sant’Antonio Taumaturgo, nel Borgo Teresiano. Quest’area era stata ricavata dalla bonifica delle saline nel XVIII secolo mantenendo e ampliando il naturale collettore delle acque poi diventato il Canal Grande. La parte terminale del canale venne interrata nel 1934 con le macerie portate dalla demolizione della città vecchia, ricavando così l’attuale piazza Sant’Antonio sotto la quale è ancora sepolta una piccola nave torpediniera austriaca.
La passeggiata raggiungeva corso Italia, una volta Contrada del Corso e più addietro ancora Contrada Grande o della porta di Vienna. La via andò formandosi dopo la demolizione delle mura cittadine, una sorta di cerniera tra la città vecchia e la città nuova dove si trovavano i negozi più prestigiosi. Il nome di Corso risale al 1783 quando sotto il Governo del conte Pompeo Brigido si cominciò a percorrere la Strada Grande in carrozza per assistere allo spettacolo delle maschere di Carnevale e più tardi, nel 1830, similmente a quanto accadeva a Milano, venne introdotto l’uso del lancio di fiori e confetti.
Dal Corso si proseguiva verso piazza della Borsa, centro economico della città per tutto il XIX secolo. Inizialmente si chiamava piazza della Dogana, dal nome dell’edificio che sorgeva al posto dell’attuale Tergesteo. A fianco del palazzo si trovava un tempo l’altro canale di cui si è quasi persa la memoria, il Canal Piccolo, interrato nel 1816 e ancor oggi ricordato dal nome della via, che attraverso la Portizza e via del Ponte arrivava fino al centro della città vecchia portando vino e merci per il mercato.
Lungo il Corso si poteva sostare nel celebre Gabinetto Cinese di Adolf Wünsch, frequentato anche da Massimiliano d’Asburgo, che all’esibizione e alla vendita sia di preziosi manufatti sia di ninnoli asiatici abbinava l’offerta di una raffinata pasticceria. Si poteva gustare il rosolio, assaggiare pastiglie di zucchero e fondants per poi proseguire la passeggiata in piazza Grande magari indugiando al Tergesteo, in piazza della Borsa, sorbendo un caffè e leggendo i giornali. Non è un caso che molti caffè siano sorti nelle zone di passeggio. Nel 1779 ne venne proposto uno sul molo San Carlo, oggi Audace, incontrando il rifiuto del Capitano di Porto secondo cui sarebbe stato di intralcio alla navigazione.
Il liston arrivava nel cuore della città, piazza Unità, allora piazza Grande, dove fino a fine Ottocento un lato era riservato alla passeggiata dei patrizi, privilegio poi passato al ceto mercantile e successivamente alla borghesia. Oggi l’illuminazione con luci blu al led, nella pavimentazione di piazza Unità lato mare, ricorda fin dove il mare arrivava dentro l’antico porticciolo, il Mandracchio.
Il liston si concludeva sul molo Audace, nome imposto dopo la Grande Guerra su suggerimento del pittore triestino Cesare Sofianopulo in ricordo del cacciatorpediniere Audace, prima nave giunta in porto il 3 novembre 1918. Sostituì la denominazione di molo San Carlo, in ricordo della nave da guerra austriaca che, approdata nel porto nel 1741, rimase ferma nei tre anni successivi, facendo acqua e affondando. Su di essa si posero le fondamenta del molo stesso. Luogo simbolo della vitalità commerciale di Trieste trovava al suo apice la rosa dei venti, originariamente una bitta in pietra. La passeggiata si affievoliva verso le 13, quando l’ora muoveva le carrozze al richiamo del pranzo domenicale lasciando a popolani e famiglie l’itinerario cittadino. Il ’900 arrivò portando con sé venti di guerra. La Prima Guerra Mondiale pose fine alla Belle Epoque e alla spensieratezza del liston.
Oggi l’itinerario accompagna ancora al molo Audace e fino al suo punto estremo, dove si incontra la Rosa dei Venti e lo sguardo si apre all’orizzonte e alle rotte possibili. Quando il cielo è terso l’occhio accarezza la corona alpina e poi torna sulla città, sui palazzi allineati alle Rive, al cuore della piazza Grande e fino al colle di San Giusto, una parata custode di storie grandi e storie minime, ma storie che parlano di noi (l’immagine d’epoca in alto proviene dalla Fototeca Civici Musei Trieste). —
(1 – Continua)
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