Un Porto franco dinamico a supporto della logistica e di industrie che puntano su politiche di innovazione
*avvocato Studio Zunarelli e associati
Per comprendere cosa sia il Porto franco internazionale di Trieste è necessaria una premessa. Gli istituti altamente riconducibili alla nozione di zona economica speciale (ZES) cui gli Stati ricorrono per favorire i loro obiettivi di crescita economica sono molteplici. Tra essi quelli più spesso utilizzati sono le zone franche commerciali, quelle industriali e i porti franchi.
Le zone franche, costituite nel XVIII e XIX secolo in città poste sui crocevia del traffico commerciale internazionale allo scopo di favorire il commercio indiretto, vengono attualmente definite (Conv. Kyoto 1999) come quella “parte del territorio in cui le merci introdotte sono generalmente considerate, limitatamente a quanto concerne i dazi e le tasse all’importazione, al di fuori del territorio doganale”. La zona franca è dunque uno spazio escluso dal territorio doganale di uno Stato, entro i cui limiti non si riscuotono dazi d’importazione e di esportazione.
Col tempo la vocazione delle ZES è tuttavia cambiata, a testimonianza della loro natura dinamica, ed esse si sono evolute in strutture fortemente specializzate, tendenti a soddisfare le esigenze di industrie e attività specifiche.
Sono dunque fiorite zone speciali miranti alla promozione delle industrie che sfruttano la tecnologia d’avanguardia o l’innovazione scientifica; zone franche industriali dedicate alle attività petrolchimiche o d’industria pesante che valorizzano fonti energetiche a basso costo o l’esistenza di strutture specializzate; zone finanziarie speciali in cui si promuovono servizi off-shore; zone franche dedicate alle tecnologie informatiche e all’ICT, che ospitano attività off-shore di codificazione di software e altri servizi di tecnologia informatica; parchi logistici e Cargo city che offrono strutture specializzate e servizi di supporto ai traffici commerciali, alla gestione della supply chain e all’attività di logistica, e altre ancora, financo dedicate allo sviluppo delle attività turistiche.
La vocazione dinamica delle ZES trova puntuale riscontro nella storia del Porto franco di Trieste, con una rilevante, peculiare variante consistente nella natura internazionale della fonte che attualmente lo regola.
La sua storia ebbe inizio nel 1719, con l’attribuzione a Trieste della patente di Porto franco, che concedeva l’esenzione da ogni imposta doganale e da ogni altra tassazione che non fosse legata al costo di un servizio. A ciò si accompagnava una serie di libertà volte a favorire lo sviluppo del commercio e dell’industria, tramite il miglioramento delle vie di accesso e delle strutture portuali, l’esenzione dalle imposte, l’istituzione di un banco di assicurazione, la protezione dei commercianti esteri, il divieto di perquisizione delle navi in arrivo, il permesso per gli stranieri di possedere case e terreni, favorendo sia la funzione di transito sia, soprattutto, quella emporiale.
Nel 1769 Maria Teresa estese le franchigie a tutta la città che divenne quindi città franca. Dopo la fine della dominazione francese il porto franco fu ripristinato nella zona del porto, per essere abolito nel 1891 e sostituito dall’istituto dei punti franchi, che consentiva alle navi entrate nel punto franco di sbarcare le loro merci senza intervento della dogana ed esentava dai dazi le merci depositate o lavorate in determinate zone, che venivano considerate quali territori extradoganali.
Data invece al 1906 la legge che istituiva il cosiddetto differito doganale, che consentiva di pagare eventuali diritti doganali in termini dilazionati.
Gli aspetti più significativi del periodo austriaco consistono, per un verso, nella natura della fonte disciplinante il Porto Franco, domestica e non internazionale, per altro verso nella dinamicità dei suoi contenuti. Fermi cioè alcuni suoi tratti – la franchigia doganale, un territorio definito su cui operare, il riferimento necessario all’arrivo, partenza e talvolta lavorazione di merci – la concezione del Porto Franco sia dal punto di vista del territorio su cui operava, sia della normativa specifica, è sempre stata dinamica e mai statica, dovendo adattarsi alle numerose variabili del commercio marittimo di merci.
Col passaggio di Trieste all’Italia nel 1918 si apre il periodo italiano, contraddistinto sino al 1947, come il precedente, dalla natura domestica della fonte che regolava i punti franchi e da un limitato numero di provvedimenti legislativi, essenzialmente miranti a confermare il regime di extradoganalità del Porto franco. Il Decreto Ministeriale 1693/1925– ancor oggi vigente – stabiliva che i punti franchi di Trieste fossero considerati fuori dalla linea doganale dell’Italia e che il movimento di navi mercantili tra i punti franchi e il porto avvenisse senza formalità doganali.
L’evento più rilevante occorso in questi tre secoli, capace di garantire la perdurante vigenza del Porto franco di Trieste, è tuttavia il fenomeno della sua cosiddetta internazionalizzazione, avvenuta in virtù del Trattato di pace di Parigi del 1947. Esso prevedeva la creazione di un porto franco da amministrarsi conformemente alle disposizioni del suo Allegato VIII, stabilendo che le merci in transito per il porto franco godessero di libertà di passaggio, e ciò allo scopo di agevolare la debole economia triestina e di porre il porto franco al servizio del commercio internazionale e del traffico diretto e proveniente dall’Europa centrale, analogamente a quanto era avvenuto nei due secoli precedenti.
In tal modo il Porto franco cessava di servire obiettivi specifici di una singola nazione (dapprima quelli dell’Impero austroungarico, poi dell’Italia), per servire invece – nella nuova veste di porto franco internazionale – interessi riferiti a più nazioni. Stipulando il Memorandum di Londra del 1954 il Governo italiano si è perciò obbligato a «mantain the Free Port at Trieste in general accordance with the provisions of Articles 1-20 of Annex VIII of the Italian Peace Treaty», a mantenere cioè a Trieste il Porto franco internazionale nei suoi princìpi fondanti, con la facoltà di rideterminarlo e di definirlo a seconda delle circostanze e delle mutevoli necessità. Risulta dunque confermata anche in sede internazionale quell’elasticità gestionale e normativa che ha contraddistinto il Porto franco di Trieste fin dalla sua origine, anche in relazione al mutamento delle esigenze dei traffici internazionali.
Nel 1955 e 1959 il Governo italiano adottò le prime norme organizzative del Porto franco, sino a pervenirsi – in attuazione dell’art. 6, co. 12 della L. 84/94 – al decreto interministeriale del 2017, che ha il merito d’aver, tra l’altro, chiarito come la sua gestione spetti all’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico orientale.
Le principali prerogative che oggi contraddistinguono il Porto franco internazionale di Trieste consistono nella franchigia doganale e nell’extradoganalità, in relazione alle quali gli aspetti forse più interessanti consistono nella possibilità di sottoporre le merci a trasformazioni industriali, con possibilità di acquisire, a certe condizioni, origine Ue o “Made in Italy”, e nel credito doganale triestino. Non meno rilevante per i traffici del nostro porto è il favore alle funzioni di transito, che si traduce, ad esempio, nella liberalizzazione dei trasporti delle merci in transito per l’Italia attraverso il porto di Trieste – aspetto particolarmente rilevante per l’affermarsi del fiorente traffico RORO con la Turchia – e nella facoltà in capo all’Autorità portuale di assumere partecipazioni societarie, finalizzate alla promozione di collegamenti logistici e intermodali funzionali allo sviluppo del sistema portuale.
Tuttavia l’aspetto cruciale che emerge dall’analisi giuridica del Porto franco internazionale, operata attraverso la lente della sua storia, non consiste tanto nelle condizioni favorevoli che oggi vi si possono godere, quanto piuttosto nel ruolo dinamico che esso può assolvere nello sviluppo della vasta area centroeuropea in cui esso insiste, in conformità al mandato conferito all’Italia di gestire il Porto franco “secondo le consuetudini vigenti negli altri porti franchi del mondo” (art. 1.1 All. VIII).
La legittima ambizione è, cioè, che il Porto franco internazionale di Trieste possa attrarre servizi di alta qualità a supporto di modelli avanzati di insediamento, favorendo la creazione di attività industriali, logistiche, direzionali, bancarie, assicurative, formative e divulgative innovative e d’avanguardia. Si pensi ad esempio alla possibilità di insediare in Porto franco attività di elaborazione di big data, fortemente energivore, beneficiando del vantaggio che «l’energia elettrica comunque impiegata negli stabilimenti industriali è esente dal pagamento dell’accisa sull’energia elettrica» (art. 3 Decr. 53/59).
In questa prospettiva il Porto franco internazionale di Trieste può dunque candidarsi alla promozione di quegli stessi obiettivi di modernizzazione e sviluppo della vasta area centroeuropea, posti alla base, tre secoli orsono, della lungimirante decisione che oggi si celebra. –
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