Sopra i moli e le banchine le sorti di un’intera città. La grande svolta nel ’900 con i container del Lloyd

Lo scalo ha avuto una vita così intensa che coglierne la sintesi è una vera impresa. Ruolo strategico non solo per il passaggio delle merci, ma come centro di potere

Nello studio delle infrastrutture create dall’uomo per adattare l’ambiente naturale alle sue esigenze, uno degli elementi che spesso viene sottovalutato è connesso alla diversità delle scale temporali. Da una parte troviamo la frenetica temporalità umana, fatta di necessità immediate (come la sopravvivenza), di ambizioni e obiettivi da raggiungere prima possibile, oppure di pericoli da evitare con ancora maggiore urgenza. Dall’altra, le infrastrutture. Almeno un tempo, erano costruite per durare attraverso le generazioni, e per garantire sicurezza e stabilità alle attività umane. Che si trattasse di strade, ponti o acquedotti poco importava. L’importante era costruirli in maniera tale da farli durare possibilmente per secoli. Forse anche per questo, generalmente dopo un po’di tempo viene sottovalutata la massa di risorse, intellettuali e materiali, che ogni infrastruttura di grandi dimensioni ha richiesto per la sua realizzazione ed il suo aggiornamento.

La storia del porto di Trieste, poi, ci presenta una variegata serie di tentativi (spesso riusciti) di utilizzo della sua fissità temporale per indirizzare e governare il futuro, a partire dalla decisione di Carlo VI nel 1719, per arrivare a tempi molto più vicini a noi. Per le sue caratteristiche, ogni porto di una certa importanza direziona nello spazio (e anche nel tempo, accelerando i transiti) molte attività umane, non solo dal punto di vista commerciale, e non soltanto nelle aree più vicine agli scali. In pratica, i porti più grandi diventano importanti non soltanto per le attività che svolgono, ma soprattutto per come le svolgono. Il transito delle merci, infatti, quando è efficiente si accompagna sempre a rilevanti flussi di informazioni, competenze e persone, che sincronizzano tra loro eventi, regole e abitudini che hanno luogo in punti lontani geograficamente, ma che diventano collegati nelle loro economie, culture e spesso istituzioni.

In questo senso, i porti più grandi ed attivi sono stati spesso degli importanti acceleratori di modernità. Infatti, se da una parte le infrastrutture portuali sono legate al territorio, lo stesso non si può dire delle navi e delle merci, che possono spostarsi in ogni momento alla ricerca di condizioni più favorevoli. Per questo, un porto di successo deve sempre confrontarsi con i suoi competitori, rinnovandosi di continuo ed importando subito le migliori novità introdotte altrove, per non perdere la sua attrattività e vedere le navi prendere altre rotte.

E si tratta di una efficienza che non può essere ristretta semplicemente al porto ed alle sue strutture di movimentazione delle merci. Anche tutti i servizi ausiliari devono seguire lo stesso percorso di efficientamento, dalle spedizioni ai servizi finanziari e assicurativi, dalle strutture educative a quelle ricreative fino alle amministrazioni pubbliche, alle industrie come la cantieristica e ad un’infinita serie di altre attività. Trieste divenne la capitale marittima dell’Adriatico asburgico anche perché seppe fornire con efficienza tutta la rete di prestazioni accessorie necessarie alle attività portuali.

Nel corso di questi trecento anni, però, il porto è stato anche per molte volte vittima degli eventi, in alcuni casi portandosi dietro le sorti dell’intera città. Sostenuta e privilegiata dagli Asburgo, venne snobbata da Napoleone, che aveva in mente un Impero continentale autosufficiente. Ritornati gli Asburgo, rinacquero le attività commerciali e il porto rifiorì, almeno finché le questioni nazionali non complicarono i rapporti con il retroterra (e con il quasi gemello portofranco di Fiume) finendo con il coinvolgere anche la città, che nel 1891 venne definitivamente separata dal porto.

Infatti, fino a quell’anno le franchigie doganali e i benefici fiscali del portofranco erano estese a tutto il territorio di Trieste (e a tutti i suoi cittadini), mentre da quell’anno furono ristrette alle sole aree di movimentazione della merce, fino a ridursi al “punto franco” che conosciamo bene noi oggi. Nel corso delle due guerre mondiali il porto divenne un primario obiettivo strategico, mentre negli anni del Piano Marshall vi sono transitati aiuti e merci destinati praticamente a tutta l’Europa centrale, quando le tonnellate movimentatevi per la prima volta superarono il record del 1913.

La storia del porto si intreccia quindi con le vicende della città, e viceversa, in una simbiosi che ha prodotto nei casi migliori un organismo estremamente dinamico e attivo, ma anche potenzialmente instabile.

Le connessioni commerciali, in realtà, non sono state una infrastruttura che ha veicolato soltanto merci e ricchezza, ma anche influenza e potere, sempre più importanti con l’affermarsi della società industrializzata, fino ai nostri giorni. Costruire, sviluppare ma soprattutto controllare le infrastrutture che consentono la movimentazione di merci, persone ed informazioni ha rappresentato (e rappresenta tutt’ora) un importante obiettivo per gli Stati alla ricerca di una più marcata affermazione della propria sovranità e del proprio controllo sulle attività che si svolgono all’interno dei propri confini, con possibili estensioni anche al di fuori di essi.

In una sua forma embrionale, una simile impostazione era già presente alle origini dei portifranchi di Trieste e Fiume, istituiti soltanto pochi anni dopo la unilaterale dichiarazione della libera navigazione in Adriatico, che per gli Asburgo significava soprattutto restringere il dominio veneziano su un mare che si voleva invece condiviso. In seguito, la volontà di controllare il porto di Trieste e le vie di comunicazione che si dipartivano da esso (sia per terra che per mare) ha portato al suo coinvolgimento diretto in alcuni importanti tornanti della politica europea, dalla costruzione del Canale di Suez all’oleodotto transalpino, per non ricordare soltanto le guerre e le crisi internazionali.

La storia del porto di Trieste è quindi stata talmente varia e ricca di eventi che riassumerla sarebbe impossibile. Alcuni tornanti hanno però rappresentato altrettante transizioni da una fase all’altra, spesso intrecciando inestricabilmente le sorti del porto con quelle della città. Come già nel 1749, quando Maria Teresa disegnò, nella sua “Istruzione”, un piano di sviluppo urbanistico-commerciale dove le esigenze abitative e quelle dei servizi erano intimamente compenetrate. L’esempio di Maria Teresa fu seguito, con adattamenti, dai suoi successori, tanto che ognuno lasciò la sua specifica impronta nei borghi ancora oggi denominati “Giuseppino” e “Franceschino”.

Alla stasi napoleonica succedette non tanto una ripresa delle vecchie dinamiche, quanto piuttosto una loro reinvenzione su basi molto più ampie e lungimiranti. La scomparsa della Repubblica di Venezia aveva aperto una finestra d’opportunità che i commercianti-finanzieri triestini riempirono quasi subito con rinnovate Compagnie assicurative, l’appoggio alla navigazione a vapore e l’estensione verso mercati e prodotti all’epoca particolarmente promettenti, come il Nord America e il cotone, indispensabile per la prima rivoluzione industriale. L’Ottocento fu segnato da tutta una serie di precocità tecnologiche, dall’arrivo della ferrovia nel 1857 ai finanziamenti per la costruzione del Canale di Suez, dalla pionieristica costruzione dell’Arsenale del Lloyd alle costruzioni navali in acciaio. Anche il porto partecipò, con la meccanizzazione della movimentazione delle merci grazie ad un sistema idraulico tra i primi al mondo, fino all’introduzione delle gru elettriche, poco prima della Grande guerra.

D’altra parte, il periodo successivo al 1918 fu lungamente dedicato a diversi tentativi di riguadagnare le occasioni perdute, con scarso successo, finché tra il 1933 ed il 1936 l’intera industria marittima triestina (navigazione, cantieristica, produzioni ausiliarie) entrò nella sfera dell’industria di Stato, e Trieste divenne una delle tre “città Iri” in Italia, assieme a Genova e Napoli. Non a caso, altri due porti.

Del dopoguerra e dell’importanza del Piano Marshall si è già detto; in seguito, i primi decenni successivi al ritorno all’Italia furono nuovamente dedicati al recupero di occasioni che si pensava potessero essere riesumate dal passato. La svolta vera avvenne quando il Lloyd Triestino importò nel Mediterraneo la pratica del trasporto containerizzato, che ormai si stava affermando nel Pacifico, dove appunto operavano le navi del Lloyd.

Ancora una volta, Trieste si trovò a svolgere un ruolo pionieristico sul piano locale, e questa volta qualche risultato positivo arrivò, anche se il consolidamento dei vantaggi comparati non fu facile, e ci porta molto vicino al porto dei nostri giorni. E si tratta di un oggi estremamente positivo, che consente di guardare al passato senza complessi di inferiorità. Almeno per una volta, questa storia spinge a guardare avanti, anziché all’indietro. –

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI



Riproduzione riservata © Il Piccolo