Saba e l’amico Bolaffio ammaliati dal mare

Il poeta (nel libro “Ernesto”) e il pittore erano attratti dalla luce particolare emanata da atmosfere portuali

Un genius loci inconfondibile e unico alberga tra gli scheletri per la maggior parte deserti dei razionali magazzini che costituiscono la storica e gloriosa struttura del Porto vecchio. Un’atmosfera che certamente condetermina il grande appeal esercitato in questo periodo da Trieste a livello internazionale: il Porto vecchio e il mare hanno rappresentato la fortuna della città in passato e saranno il suo futuro. E gli artisti, sensori ineffabili e antesignani dei mutamenti, non a caso hanno dedicato nel corso del tempo molti dei loro lavori e grande attenzione a questi spazi, che i palpiti della vita di un tempo sembrano non voler abbandonare.

C’è per esempio un momento di azzurro intenso, che magicamente ricorre in un romanzo di Umberto Saba, ”Ernesto”, e nella trasposizione filmica del regista Salvatore Samperi, che in parte si svolge proprio in Porto vecchio e che ritroviamo nell’azzurro ricco di splendore e di intense trasparenze dei quadri del pittore Vittorio Bolaffio. Artista meraviglioso e gran signore, mite e dallo sguardo fondo e vellutato, staccato da buona parte della materialità della vita per assurgere alla bellezza, dedicò nel corso della sua esistenza numerosissime opere proprio al Porto vecchio, colto nel fervore dell’attività e nel fascino della sua luce.

“Una luce speciale e unica in Europa” come mi confidò nel corso di un’intervista il grande architetto anglo-triestino Richard Rogers, Leone d'Oro alla Carriera della decima Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, nel 2006, e progettista, tra gli altri importanti edifici, del Millennium Dome di Londra. Autore del celebre dipinto che ritrae Saba sullo sfondo azzurro del mare e nel contempo anche l’essenzialità della sua poesia, Bolaffio si espresse secondo uno stile molto innovativo, dovuto anche alle sue frequentazioni di Fattori, di Modigliani e di Parigi, dove prese coscienza "in diretta" del linguaggio di Cézanne, Gauguin e dei Fauves, del colorismo di Matisse e della possibilità di modulare la luce attraverso il rapporto tra superfici colorate. E come Saba lasciò incompiuto l’”Ernesto”, così Bolaffio non finì il suo Polittico del Porto Vecchio, poeta e pittore amici e uniti da una affinità artistica votata alla chiarezza e alla sintesi formale. Una modernità condivisa anche da Svevo, paragonabile per altro a Bolaffio per la tormentata profondità della visione e per l’asprezza dei mezzi espressivi.

Ma c’è anche un genere pittorico più aulico e celebrativo, che è stato ispirato dal Porto Vecchio. L’icona forse più nota appartiene a Cesare Dell’Acqua, istriano di nascita, che dipinse l’opera nel 1855 su commissione del Barone Revoltella, nel cui palazzo - ora museo civico - tuttora si trova. Il dipinto di cm 154x226, è intitolato “La proclamazione del Porto Franco di Trieste” e allude al fatto che il 18 marzo 1719 l’imperatore Carlo VI d’Asburgo, padre di Maria Teresa d’Austria, cedendo alle reiterate insistenze della popolazione, concesse tale Patente alla città, in virtù della profondità dei suoi fondali e della buona posizione geografica, decretandone la fortuna. Nel dipinto la buona novella è portata dal nobile Giovanni Casimiro Donadoni che, "caldissimo avvocato del Portofranco", aveva perorato la causa triestina a Vienna ed è raffigurato mentre giunge a cavallo nell'emporio mercantile. In questo spazio, con l’ingresso sormontato dalle statue di Nettuno e Mercurio sono dipinti due gruppi di personaggi. A sinistra, in mezzo alle mercanzie, i tipi rappresentativi delle popolazioni "commercianti": "il Carniolico, l'istriano dell'interno, l'Ebreo, il Dalmata, il Greco dell'Adriatico; a destra "i patrizi siccome quelli che più d'altri desideravano il commercio al quale poi non era lecito di partecipare nè parteciparono, e che anzi dal Portofranco dovevano venir annichiliti". Il natante che si vede di poppa nel porto, oltre il cancello, impavesato come gli altri per l'occasione, é "una di quelle due navi - annotò Pietro Kandler - che nel 1717 uscirono da Ostenda e si recarono all'Indie Orientali per esplorare quale commercio propizio potesse avviare l'Austria con quelle parti remote”.

Dell’Acqua (Pirano 1821 - Bruxelles 1905) di madre triestina, visse qui per molti anni e, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia grazie a una borsa di studio del Comune di Trieste, nel 1848 si trasferì a Bruxelles, che nel secondo Ottocento sarebbe stata considerata la città più bella d’Europa per la raffinatezza delle architetture, segno della grande ricchezza che Leopoldo II traeva dal Congo, macchiandosi di un orribile sfruttamento della popolazione. E in Belgio la pittura di Dell’Acqua, accurata, cromaticamente interessante e non priva di risvolti poetici, procurò all’artista grande consenso. Va ricordata anche una firma importante, quella di Egon Schiele (Tulln 1890 - Vienna 1918), che ritrasse, appena diciassettenne, in un piccolo olio il fermento di barche, navi e bastimenti nel porto di Trieste. Pupillo di Gustav Klimt, fu uno dei maggiori artisti figurativi del primo Novecento e magnifico esponente con Oskar Kokoschka del primo espressionismo viennese, stile nel quale è realizzato il piccolo capolavoro “triestino”, conservato oggi al Leopold Museum di Vienna. E poi ci sono le numerose stampe e i disegni che ritraggono il Porto vecchio: non vanno dimenticati quelli che raffigurano per esempio la situazione immediatamente precedente alla proclamazione del Porto Franco come la rara acquaforte tratta da un disegno di anonimo e incisa su rame nel 1718 o l’incisione del 1802 di Cassas rappresentante una visione fantastica del porto di Trieste con il suo ricco crogiolo di razze; o la cromolitografia eseguita da Lemercier a Parigi nel 1853 con l’indicazione dei siti e degli edifici civili e religiosi.

Non va dimenticato poi che molti dei validissimi esponenti della pittura triestina, formatisi alle Accademie di Monaco, Berlino e Vienna ma anche all’Accademia di Venezia, si sono cimentati sul tema del Porto vecchio. Ed ecco stupirci il gesto espressionista quasi astratto di Arturo Rietti, che nel 1894 ritrae il porto dalla terrazza di Palazzo Carciotti, dove il pittore aveva lo studio, o l’elegante Allegoria della Navigazione dipinta da Guido Grimani nel 1897 o ancora l’intensa nave Cerania di Ugo Flumiani e il porto, immerso nella luce grigia, di Giuseppe Barison, prevalentemente espressi attraverso un linguaggio impressionista. Ma va ricordata la macro installazione ideata anni fa dal pittore e scultore Marino Cassetti (Pirano 1947 - Trieste 2004). Tra i molti progetti che la morte stroncò, c'era anche quello di far sfilare a New York lungo la quinta Strada, le «vele d'artista», che, secondo una sua idea, erano comparse più volte in una sorta d’installazione totale sul molo IV in occasione della Barcolana. La manifestazione era stata poi esportata con grande successo a Toledo, tappa di un itinerario creativo condotto dal maestro con sensibilità e tenacia. —

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