Nei tre secoli del Porto di Trieste un’estesa rete di connessioni

Domani alle 11 alla Stazione marittima la lezione di Mellinato sulla storia dello scalo. Ingresso gratuito a esaurimento posti

I porti non vivono mai una vita isolata. Anzi, quanto più numerose ed estese sono le relazioni che riescono ad intrecciare con altri porti, tanto maggiori saranno i vantaggi che l’intera struttura economica locale potrà trarre dalla funzione portuale esercitata da aziende, istituzioni e strutture specializzate.

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Da questo punto di vista, la storia del porto di Trieste ci ricorda anche quanto siano intimamente instabili e competitivi quei rapporti, e quanto le connessioni commerciali contengano sempre anche un elemento politico che può talvolta sopravanzare le convenienze economiche, e diventare decisivo nel determinare le sorti dell’intero sistema costituito dal porto e dall’economia che vi ruota attorno.

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All’interno di questa storia, vittorie e sconfitte si sono avvicendate con una certa regolarità, seguendo da vicino l’andamento delle vicende politiche ed istituzionali della città e del suo territorio.

Nei suoi primi decenni di vita, il portofranco ebbe più fortuna nell’attirare risorse, piuttosto che nel proiettare verso l’esterno le proprie attività. La “Compagnia Orientale” non ebbe vita felice, ma gli interventi dei diversi Asburgo ingrandirono l’impianto urbano, attrezzarono il porto e tutelarono in vario modo chi intendeva stabilirsi nella nuova città, soprattutto se vi portava i propri capitali e le proprie relazioni commerciali.

Dopo Napoleone, i ristretti circoli che all’epoca governavano l’economia triestina si resero conto che il passaggio ad uno stadio di sviluppo superiore dei loro affari era indispensabile ma rischioso, se non si fossero adottati accorgimenti utili a ridurre le incertezze di mercati più combattuti che nel passato.

Per questo, nei decenni successivi, il sistema economico triestino si è dotato di servizi spesso d’avanguardia, che in alcuni casi si sono trasformati tanto da rendere quasi irriconoscibile la loro origine marittima, e almeno in un caso talmente globali da lasciare quasi in ombra la loro origine cittadina. Il caso delle Assicurazioni Generali è in questo senso esemplare.

Il sistema triestino fu talmente efficace nel costruirsi questa rete di servizi e attività di supporto (anche grazie ai generosi aiuti forniti dal governo di Vienna) da diventare uno dei porti più dinamici in Europa negli ultimi decenni dell’Ottocento.

Nuovamente, a questo punto scattò l’ambivalenza tra economia e politica, e nel 1891 lo Stato asburgico riassunse la sovranità doganale sulla città (lasciando “franchi” soltanto alcuni punti specifici) e tra il 1906 ed il 1907 centralizzò il controllo su tutta una serie di attività marittime e commerciali.

La sede del Lloyd Austriaco fu spostata a Vienna, così come fu imposta la nomina imperiale del suo presidente, solo per fare due esempi.

Il nesso asburgico perse vigore, l’irredentismo guadagnò seguaci, e quando l’esito della prima guerra mondiale portò l’Italia a Trieste una parte consistente della popolazione andò a salutare i primi bersaglieri, simbolicamente arrivati via mare.

Prima ancora della congiuntura economica sfavorevole degli anni Venti e Trenta, fu l’organizzazione italiana a rivelarsi poco adatta ad utilizzare le potenzialità triestine.

Dalla vana attesa del ritorno della prosperità prebellica, si passò presto alla progressiva statalizzazione dell’intera economia marittima della Venezia Giulia, che entrò nel lungo tunnel bellico (dall’inizio della guerra d’Etiopia nel 1935 alla fine dell’Amministrazione alleata nel 1954) sostanzialmente priva di progetti per il lungo periodo e incapace di evitare di essere completamente travolta dal turbinoso avvicendarsi di circostanze sfavorevoli.

Dopo il ritorno all’Italia riemersero i problemi di sempre, complicati stavolta dalla guerra fredda, e da una serie di incertezze e contraddizioni del Governo centrale, che portarono alla celebre crisi efficacemente sintetizzata da Chino Alessi con il titolo a tutta pagina “Cancellati dal mare!”, il 23 giugno del 1966.

Fortunatamente non è andata così.

Il porto di Trieste, come tutti i più grandi scali mondiali, si è trasformato in uno snodo e una interconnessione tra diversi sistemi logistici, con funzioni di governance e di indirizzo strategico sempre più estese negli spazi (ben oltre i moli e la classica area portuale) e sempre più complesse nelle loro interconnessioni, senza però perdere il contatto con la città. –


 

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