La sicura e libera navigazione e la profezia di de Giuliani: quante “tempeste” sul Porto cresciuto troppo in fretta

L’illuminista diffidente, storico e politico del Settecento, crede nello sviluppo ma intravede genialmente per Trieste un possibile torbido e agitato futuro

«Il Commercio scorre la terra», scriveva Antonio de Giuliani nel 1785 nelle sue Riflessioni politiche sopra il prospetto attuale della città di Trieste, stampato a Vienna col nullaosta apposto di proprio pugno dall’Imperatore Giuseppe II, il più grande e illuminato sovrano della storia absburgica. Erano passati sessantasei anni da quando Carlo VI aveva proclamato Trieste - e Fiume - portofranco («la sicura e libera navigazione del mare»). E’ allora che nasce veramente Trieste, nonostante le nobili tradizioni delle sue antiche casade, la sua famosa libera dedizione all’Austria nel 1382 e gli studi eruditi e filologici di dotti come Domenico Rossetti, difensore della vecchia cultura umanistica del piccolo Comune contro la sua trasformazione emporiale nella nuova e ben più grande città mercantile.

È con lo sviluppo di questa nuova città che nasce la Trieste dei traffici e del mito, dove arriva gente di altri Paesi, di altre culture, lingue e religioni che si italianizzano e sono all’origine di quello che più tardi saranno il particolarismo e pure l’irredentismo triestino di patrioti italiani dai cognomi tedeschi, slavi, ungheresi, greci, armeni, ebraici che vorranno Trieste italiana. Città crogiolo ma anche di separatezze e di dissidi, specie con la componente slovena, ignorata e rimossa.

La Trieste nata col portofranco è città assimilatrice e insieme cosmopolita. Città di vitali iniziative, di avventure anche truffaldine, compagnie marittime che commerciano in vari continenti, cambiano nome e proprietario, falliscono e rinascono; ben più tardi grandi compagnie di assicurazioni, Masino Levi, presidente delle Generali, ritratto con in mano una penna per la firma della polizza come un Mefistofele borghese che invita a firmare il patto col diavolo. Città di Apollo e Mercurio, poesia e commercio organicamente inseparabili; doppia anima, dirà Slataper, che non può scindersi senza distruggersi e senza distruggere entrambe le sue componenti antitetiche e complementari.

Doppiezza come destino. Irredentismo italiano - due irredentismi, quello nazionalista e quello mazziniano e democratico, grande pensiero di libertà e fraternità fra i popoli - e austriacantismo economico - città florida grazie all’appartenenza all’Impero absburgico. Più tardi, finito il suo monopolio del mercato centroeuropeo, essa reclamerà assistenzialismo e sarà città realmente negletta e compiaciuta di considerarsi tale; città assistita pure psicologicamente. Forse la componente slovena - in parte di recente origine carsolina ma presto pure operosa borghesia, anche se non così sviluppata come quella, assai vivace, della vicina Gorizia - sarà meno coinvolta in queste contraddizioni anche perché più assorbita da difese e rivendicazioni della propria nazionalità.

La grande letteratura triestina, grande e geniale fiore della decadenza più che della primavera, nasce tanto più tardi della nuova Trieste dei commerci. L’unico vero scrittore del Settecento - scrittore politico - è Antonio de Giuliani, l’ ”illuminista diffidente”, come dice il titolo dello splendido saggio scritto parecchi anni fa ma più che mai vivo da Giorgio Negrelli. de Giuliani è illuminista, crede nel progresso, ammira il fervore della città nuova nata col portofranco, suggerisce proposte e misure. E’ un uomo del Moderno, più che della Tradizione. Ma intravvede genialmente e precocemente un possibile torbido e agitato futuro di quel Moderno, un futuro abbastanza vicino. E’ illuminista, crede nella ragione e nel progresso ma intuisce, seppure in modo ancora incerto, la spirale di reale progresso e di dominio sempre più spietato che nasce anche grazie alla razionalità del progresso degradato a razionalizzazione del potere. Appena nel Novecento ci si renderà conto di questa spirale di ragione e barbarie, che può essere combattuta soltanto con la ragione, ma con una ragione sempre desta e attenta alle nuove forme che la barbarie, esperta di strumenti e tecniche razionali e insieme reazionarie, assume sempre di più.

de Giuliani ammira lo sviluppo, ma suggerisce moderazione e prudenza, anche nella velocità delle trasformazioni sociali. Troppo impetuoso gli appare perfino il suo amato Giuseppe II - l’imperatore che abolisce la servitù della gleba, promuove l’emancipazione degli ebrei, distingue laicamente la sua sincera fede cattolica dal senso dello Stato e batte in breccia le ingerenze politiche e i privilegi economici della Chiesa, crea scuole e ospedali. de Giuliani è figlio della più alta stagione absburgica, che non è quella dell’Austria di Francesco Giuseppe, pur così ricca di tanta eccezionale letteratura, arte e musica, ma è quella di Maria Teresa e soprattutto di Giuseppe II. Una cultura che era tesa al progresso e a evitare il Terrore rivoluzionario, lo scatenamento delle passioni nazionali e il selvaggio processo dell’accumulazione capitalista, il dominio di una violenza economica ignara di ogni altro valore umano, una violenza oggi trionfante. L’Europa del Congresso di Vienna sarà l’opposto dell’autentico illuminismo; sarà il trionfo della reazione più retrograda, dei nazionalismi sempre più feroci e di un dominio del denaro simile a quello del Mefistofele goethiano... Osservando le fortune della nuova Trieste de Giuliani aveva colto, per usare le sue parole, le prime avvisaglie di una vertigine che avrebbe sconvolto l’Europa. E che la sconvolge sempre di più; ora pure un presidente degli Stati Uniti si mette contro Carlo VI e Maria Teresa per impedire la libera navigazione, per impedire alle navi della piccola Trieste di salpare verso i mari della Cina... —

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