Test di medicina verso lo stop, nelle Università di Trieste e Udine i dubbi restano tanti
Di Lenarda: «Riforma quantomeno inutile, se non irrealizzabile e pericolosa». Pinton: «Quante sedi dovremmo costruire per gestire l’intero sistema?»

A Trieste e a Udine l’ipotesi di riforma dell’accesso a Medicina non piace. Perché non è considerata una priorità; ma anche per i contenuti. Premesso che i giudizi definitivi arriveranno dopo aver letto il disegno di legge delega, per il rettore triestino Roberto Di Lenarda la proposta «pare nella migliore delle ipotesi inutile, con grande probabilità irrealizzabile e pericolosa», mentre il collega udinese Roberto Pinton dice di non comprendere «in che modo si possa realizzare il proposito della selezione di qualità, mentre è evidente che una simile modalità abbasserebbe il livello della formazione».
Per Di Lenarda, l’unico aspetto positivo «è l’assoluta conferma del numero programmato, che qualche mese fa pareva messo in discussione. Si evita una sciagura che avrebbe determinato la crisi definitiva della formazione medica e, a medio termine, la distruzione del sistema sanitario». Ma sulla cancellazione del test di ingresso per lasciar spazio a un semestre libero al cui termine formare una graduatoria nazionale, il rettore di Trieste è molto più che perplesso: «Detto che è impossibile accogliere gli interessati in aule pensate per numeri pari a un quinto, non si capisce in che modo verrebbero riconosciuti i crediti formativi agli esclusi, in assenza di percorsi comuni. Per uniformarli ci vorrebbero non meno di due-tre anni accademici, svilendo le specificità degli altri corsi di laurea. Non si partirebbe dunque nel 2025 e probabilmente nemmeno nel 2026».
Altro elemento dubbio, così Di Lenarda, «è il modo in cui si selezionerà il sottoinsieme che accederà a Medicina: ci sarà un test, e allora torniamo al punto di partenza, o varranno i voti degli esami del primo semestre? In questo secondo caso, si porrebbe un problema di omogeneità di valutazione nei diversi territori del Paese e si indurrebbe una pressione probabilmente non sostenibile nei valutatori». E poi, decine di migliaia di ragazzi «si trasferirebbero al secondo semestre nelle lauree triennali più attrattive, come Fisioterapia, Logopedia, Igiene dentale, mettendo in crisi pure quelle. Al contempo i corsi meno attrattivi, a partire da Infermieristica, saranno ulteriormente penalizzati».
Il problema di fondo, interviene Pinton, non è aumentare il numero di medici, ma specializzarli nelle discipline in cui c’è maggiore carenza. Poi, c’è anche il tema strutturale: «A Udine siamo arrivati al tetto della nuova sede di Medicina, ma quante sedi dovremmo costruire per gestire tutto il sistema? La proposta più interessante potrebbe essere preparare le persone fin dalle superiori, ma anche in questo caso non è chiaro come si dovrebbe attuare questa ipotesi di lavoro».
Leonardo Sechi, direttore del Dipartimento di Medicina dell’Università di Udine, non considera il numero programmato un dogma: «Sarei favorevole alla sua eliminazione, per poi procedere a una selezione rigorosa durante il percorso di studi. Oggi infatti si porta alla laurea in Medicina pure chi ha sbagliato strada». Ma, sul tema generale, Sechi è in linea con le altre posizioni: «I medici li abbiamo, ma a mancare sono quelli che tengono in piedi gli Ospedali: emergenza, medicine interne, chirurgie generali. Discipline con carichi di lavoro e sacrifici pesanti che i nostri laureati, più interessati a preservare il tempo libero e ad avere la possibilità pure di un’attività privata, non vogliono più fare». Il contesto, così Sechi, «è di un sistema sott’acqua, mentre dermatologi, oculisti e chirurghi plastici abbondano. Cambiare il meccanismo di accesso non è la priorità. Facciamo invece laureare chi ha scelto davvero la sua strada e indirizziamolo verso le discipline in cui c’è carenza». Il semestre a accesso libero? «Operazione senza senso che aumenterebbe il numero di laureati senza necessità e abbasserebbe drammaticamente selezione e livello di formazione».
Per Luigi Murena, capo dipartimento delle Scienze mediche dell’Università di Trieste, «se nel principio il tentativo di migliorare il meccanismo di selezione, così da valorizzare capacità e motivazioni, può essere corretto, ci dobbiamo preoccupare di come concretizzare le intenzioni, sia in Medicina che nelle altre professioni sanitarie. Fermo restando che il numero programmato deve restare, non si comprende in che modo verrebbe organizzato questo semestre aperto, con un numero di studenti 4-5 volte superiore a quello attuale e con un quadro incerto sia sulla qualità della formazione che sul destino di chi resterebbe poi escluso dal percorso. Tutto questo in un momento in cui il sistema sanitario ha bisogno di medici preparati e molto motivati». —
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