Nel 2025 sei case di comunità in Friuli Venezia Giulia: «Così parte la riforma della sanità»
L’assessore Riccardi: «Sistema troppo ospedale-centrico». Spesa di settore cresciuta, Cgil: «Non si tratta solo del personale»
Da Trieste a Maniago, apriranno entro l’anno le prime sei Case di comunità in regione, primo passo di quella riorganizzazione del sistema sanitario regionale «che oggi è troppo ospedale–centrico». Lo ha ribadito l’assessore regionale alla Salute Riccardo Riccardi parlando a Gorizia al convegno “Riorganizzare il territorio: la Casa di comunità in Fvg”, promosso dalla Fimmg per mettere a confronto le esperienze di diverse regioni. Per Riccardi, la consegna delle strutture è «una risposta importante anche per le richieste sanitarie di bassa urgenza, le quali sono un tema aperto in considerazione della pressione che viene esercitata sulle strutture di Pronto soccorso».
Le prime sei Case di comunità saranno a Trieste (all’interno del compendio dell’Ospedale Maggiore), Udine (in via San Valentino), Gemona, Cividale, Sacile e Maniago.
Parliamo delle strutture previste dal Pnrr che metteranno a disposizione dei cittadini 24 ore al giorno e 7 giorni su 7 servizi sanitari e socio sanitari di carattere non urgente, potenziando così l’assistenza territoriale e riducendo gli accessi alle strutture ospedaliere che potranno concentrarsi sulle urgenze.
Non esiste un modello standardizzato, ha ricordato durante l’incontro il direttore dei Servizi sociosanitari dell’Arcs Giancarlo Ruscitti: «Ogni Casa va strutturata sulle effettive esigenze del territorio in cui si trova e sulla base dei professionisti disponibili. In alcuni territori più periferici avrà valenza più prettamente sanitaria, dove c’è già nelle vicinanze un ospedale potrà avere vocazione prevalentemente sociale».
Le “Case” sono un perno del cambio di paradigma che la Regione ritiene indifferibile. «Non è un problema di risorse economiche e finanziarie, considerando che siamo già una delle Regioni che investono di più in spesa sanitaria e continueremo a farlo – ha detto Riccardi - ma non si può mantenere quanto c’è e al contempo aggiungere ciò che manca. Il tema centrale è la risposta alla cronicità, e non può arrivare solo attraverso gli ospedali». Per Riccardi servono «scelte forti e responsabili, che vanno incontro a resistenze che però non fanno il bene della gente».
Non sono mancati accenni ai fronti aperti: dalla contestazione dei medici al piano oncologico («ma in quest’ambito siamo in ritardo di trent’anni», ha sottolineato l’assessore) all’opposizione alla paventata chiusura della Cardiologia dell’ospedale di Gorizia che lo stesso Riccardi ha voluto smentire. Smentita che peraltro non convince la segretaria del Pd provinciale Sara Vito: «Le parole di Riccardi saranno credibili quando sarà ritirato lo specifico punto dell’allegato alla delibera del 6 dicembre che parla della concentrazione delle degenze cardiologiche nella sede di Monfalcone».
Intanto, su un altro fronte, a Riccardi che ieri aveva parlato di «netto aumento» degli impegni di spesa per gli stipendi del personale sanitario regionale, arriva la replica della segretaria regionale Fp Cgil Orietta Olivo. «Pare che la spesa sanitaria sia aumentata a causa del personale, mentre sono tanti i fattori: sono saliti molti altri costi di produzione, dalla spesa farmaceutica a quella per consumi diversi».
Olivo non tralascia il fatto che «la contrattazione è ripresa con il Contratto collettivo nazionale di lavoro 2016-18» dopo «quasi dieci anni di blocco contrattuale», in un contesto di costo della vita crescente. Inoltre, «abbiamo più personale pubblico ogni mille abitanti» rispetto ad altre Regioni, aggiunge Olivo citando l’esempio della Lombardia «dove il 50% dei servizi è offerto dal privato».
Insomma, «si usa l’aumento dei costi come motivazione per riorganizzare», così Olivo: «Vedremo cosa vuol dire questa riorganizzazione che l'assessore ha in mente. Siamo disposti a partecipare a una discussione del genere», ma «noi difenderemo sempre il personale e la sua professionalità, perché senza di esso il sistema sanitario regionale crolla». —
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