«Preghiere sospese» a Monfalcone: la comunità islamica contro l’ordinanza del Comune annuncia ricorso al Tar
MONFALCONE Si impugna al Tar. I due provvedimenti che congelano il raccoglimento collettivo della comunità islamica a Monfalcone, relegandolo alle quattro mura domestiche, finiranno davanti al giudice amministrativo. Sarà battaglia. Ma intanto un gesto censurabile accaduto ieri, che qui non ha precedenti, semina allarme.
Il Corano in fiamme, la busta con un generico mittente da Cinisello Balsamo, Milano nord, e niente più.
Tanto basta a incendiare la polemica, allargare le distanze, frapporre diffidenze a Monfalcone, dove da sabato le salaat quotidiane, preghiere dei «fratelli musulmani», sono «temporaneamente sospese» dopo la notifica dell’ordinanza dirigenziale emessa dal Comune: la numero 3/Ep del 15 novembre.
Lo annuncia, affiancato dal secondo imam Mizanur Rahaman, Bou Konate, presidente onorario del centro culturale islamico Darus Salaam, finito nel mirino del provvedimento assieme all’altro in via don Fanin.
Lo stesso che ieri dopo le 16 si è recato al Commissariato di via Foscolo per consegnare al primo dirigente Stefano Simonelli la lettera di «minaccia» recapitata poche ore prima, al mattino, nella sede dell’associazione.
La busta anonima e la denuncia alla Polizia
Dentro la busta anonima (con timbro del centro di smistamento di Padova), al di là del luogo di presunta provenienza meneghina, due pagine bruciate del Corano, senza alcuna parola: non serve, eloquente il messaggio.
E Konate, oltre a consegnare i fogli, sequestrati dalla Polizia perché prova dell’ipotesi di reato, le minacce, ha sporto denuncia contro ignoti. Aperte le indagini.
Si tratta di pagine tratte dal capitolo 18, una sura centrale del Corano, che contiene tre storie di notevole spessore spirituale e concettuale, relative peraltro all’intreccio delle tre religioni monoteiste. Un messaggio? O è solo la casualità d’aver aperto il testo sacro dei musulmani a metà?
Poco conta per Konate: la lettera è «l’epilogo di una serie di comportamenti che abbiamo visto, di parole che sono andate oltre ogni aspettativa e ci hanno messo in difficoltà».
Il presidente del Darus Salaam parla di una «situazione che è andata sempre più in crescendo, per coprire il fallimento totale delle politiche sull’immigrazione». «È stata la sindaca – dichiara – ad andare contro i musulmani: finora non ha fatto nulla per l’integrazione. Soprattutto negli ultimi mesi, parlando di islamizzazione e Monfalcone».
E ancora: «Sta cercando di spaccare la città, ma non penso ci riuscirà perché i monfalconesi non la pensano come lei. Io non credo che la città sia cambiata da quando, ormai vent’anni fa, ha eletto in Italia il primo assessore immigrato».
È Konate, delega ai Lavori pubblici nel Pizzolitto I, primissimi anni Duemila. «Un territorio che si è espanso dalla scommessa dei fratelli Cosulich sui valori della convivenza e sviluppo, accoglienza e società civile – prosegue –: tutte cose che lei, Cisint, non potrà annullare».
Infatti Konate si definisce «sereno» sul futuro, per via degli «ottimi rapporti con i monfalconesi, verso cui ripongo fiducia». Quanto alla lettera, non sa se provenga realmente da Cinisello Balsamo, ma fosse davvero così sarebbe il segnale che la situazione della città, per come viene dipinta, ha travalicato i confini locali. Diventando un caso. Così ha detto.
L’ordinanza
Un caso lo è diventato sicuramente l’ordinanza dirigenziale. La notifica è giunta l’altro giovedì, il postino ha lasciato l’avviso della raccomandata e sabato Konate ha ritirato l’atto in posta. «È un grosso problema – rileva – su cui però si è innestata confusione. Qui non c’è una moschea, bensì un centro culturale. Se durante l’attività scatta l’ora della preghiera, la si fa assieme. Ma si tratta di 5 minuti per 5 volte nell’arco della giornata. Possiamo dire che 25 minuti costituiscano la “attività prevalente” di un luogo di culto? No». Ecco, è l’abbozzo della linea difensiva, perché «certamente il provvedimento sarà impugnato al Tar dai nostri legali».
Il ricorso al Tar
Avvocati di Cantù, specializzati in simili contenziosi. «Non è un’ordinanza di chiusura dei centri – precisa Konate –, bensì di non preghiera». Salaat quotidiane sospese, appunto. E la Salat al-Jumu’ah, preghiera del venerdì? Lì, in via Duca d’Aosta, non si può più. Oggi una riunione tra tutti i gruppi stabilirà il da farsi in una situazione definita da «limbo» (Konate). E sarà comunicato al Commissariato, che segue oltremodo da vicino pure questi aspetti.
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