Niqab a scuola, studentesse identificate all’ingresso a Monfalcone
Al professionale Pertini quattro ragazze con il volto velato. E la scuola si attrezza
L’ingresso in classe passa per l’anticamera. Una stanzetta appartata dove una manciata di minuti prima delle 8 la referente di sede dell’istituto superiore Sandro Pertini di Monfalcone alza il velo nero e si sincera che a varcare la soglia sia effettivamente l’allieva iscritta a quell’istituto professionale.
La prassi, non codificata ma adottata sul campo per aiutare i docenti, messi di fronte a studentesse islamiche – bengalesi perlopiù – che per fede indossano il niqāb a lezione, riguarda dall’inizio dell’anno cinque ragazze, iscritte all’indirizzo Sanità e assistenza sociale. Una, frattanto, s’è ritirata.
Non è solo l’ingresso, che si è dovuto adattare: le lezioni di ginnastica, per le alunne a volto coperto e tunica fino ai piedi, comportano canovacci alternativi. C’è l’insegnante che ha introdotto il badminton e il prof, come riferito dall’alunna velata, che dispensa dalla corsa «perché svela troppo le forme».
E poi c’è il tema dello stage che, per quest’indirizzo può coinvolgere sedi pubbliche, come i nidi, dove già le maestre, a Monfalcone, hanno il loro bel da fare per convincere parte delle musulmane a scoprire il viso almeno nel cortile, così che l’educatrice non abbia dubbi sul fatto d’aver consegnato il pargolo alla donna giusta. Non sarebbe un paradosso se la stagista entrasse bardata dal capo in giù? Insomma, il diritto allo studio e quello a professar la fede, in questo caso islamica, mettono a nudo una difficile convivenza.
«Il ragionamento a inizio anno – spiega Carmela Piraino, dirigente del Pertini – ci ha portato a ritenere che imporre può indurre le ragazze a lasciare la scuola, mentre l’istituzione raggiunge il suo scopo quando l’allievo consegue i cinque anni di studio».
Di qui «la necessità di ricreare tranquillità e fiducia», per «far sentire a casa le giovani e capire se il lavoro di insegnanti e compagni possa portarle a essere più libere». «Finora – spiega – non abbiamo mai avvertito la necessità di ricalibrare le materie. Le più esposte, in tal senso, sono le scienze motorie e per questo s’è scelto di personalizzare la disciplina». Pure con sport diversi rispetto al classico volley.
Quanto agli stage, «indipendentemente si indossi il velo o i pantaloncini, tutti gli allievi per accedervi devono aver superato il test della sicurezza, altrimenti non si esce». E i Pcto (percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) sono fondamentali per accedere poi all’esame di Stato. «In questo campo, se si tratta di integrazione – conclude Piraino –, non ci sono prassi consolidate, si può procedere solo col buon senso, per prevenire criticità. Silenziosamente la scuola cerca di risolvere tanti problemi, costruendo un rapporto di fiducia con gli alunni e le loro famiglie, non solo quelle di fede diversa». La dirigente ha consultato perfino il presidente di un centro islamico, per non tralasciar nulla.
E le alunne in niqāb? «Ho iniziato a portarlo nel secondo semestre della prima – spiega un’alunna che indossa pure i guanti scuri – e capisco che faccia paura, perché è tutto nero. Ho visto professori creare un po’ di problemi, interrogandomi sulla decisione. Dopo tre giorni e il rifiuto a levarlo, si è stabilita la procedura del riconoscimento all’ingresso.
La ginnastica? Dipende, svolgo gli esercizi che non fanno vedere il mio corpo. Il problema è lo stage, perché l’insegnante non transige sulla mia identificazione, io gli ho dato il documento, ma pare non basti e sono intervenute in soccorso anche le compagne. Oggi gli altri sono andati a fare l’attività, io sono rimasta a scuola. Se i problemi continuano non so se resterò fino alla quinta...».
«Rispettare Allah è la cosa più importante per me. Più importante anche di ciò che dicono i miei genitori, che non volevano io vestissi il niqāb, ma è una mia scelta – conclude –. Un esempio: qui non si può andare al mare vestiti così? Beh io preferisco restare a casa a guardare il muro, piuttosto che tradire il mio credo».
In prima linea, anche gli insegnanti. «È cambiato tutto dopo la pandemia – spiega una decente che vuol restare anonima – Quest’istituto ha sempre avuto alunni stranieri e musulmani. Ma la copertura integrale pone dei problemi, di socialità “schermata” in primis. Ci sono alunne che oltre a essere coperte e con i guanti neri indossano vistose montature di occhiali per celare gli occhi. Abbiamo dato il tempo per adattarsi, ma l’esito è che il numero di allieve in niqāb è cresciuto, si esce a ginnastica e si possono creare difficoltà negli stage». «È un abbigliamento consono, questo? Si rischia di alimentare differenze di trattamento?», chiede. Una domanda rivolta a tutti. —
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