Altro stop al processo Regeni, l’Egitto non manda i testimoni in aula
Nuovo schiaffo dalle autorità egiziane all'Italia dove si sta cercando di arrivare ad una verità sulla morte di Giulio Regeni. Nei giorni scorsi, è emerso nell'udienza del processo a carico di quattro 007 accusati di avere sequestrato, torturato ed ucciso il ricercatore friulano, la Farnesina ha trasmesso ai pm di Roma una nota della Procura Generale del Cairo in cui si afferma che è «impossibile eseguire le richieste di assistenza giudiziaria» per fare ascoltare quattro testimoni egiziani nel processo.
Il MURO
Il procuratore aggiunto, Sergio Colaiocco, aveva infatti citato per l'udienza di mercoledì quattro testimoni: tra loro anche il sindacalista Said Abdallah, la coordinatrice di un Centro per i diritti economici e sociali, Hoda Kamel Hussein e Rabab Ai-Mahdi, la tutor di Regeni al Cairo.
Alla luce dell'ennesimo rifiuto da parte delle autorità del Cairo, la Procura capitolina ha chiesto alla Corte d'Assise di potere acquisire le testimonianze dei testi «assenti» raccolte nel corso delle indagini. «Siamo in presenza di persone che non hanno scelto liberamente di non essere qui. Le abbiamo tentate tutte per portare i testi qui», ha spiegato davanti alla Corte d'Assise il rappresentante dell'accusa.
Per i genitori di Giulio, che erano presenti nell'aula bunker di Rebibbia, «nonostante tutto l'impegno profuso dalla procura e nonostante le richieste formali che sono state poste in essere dalla Farnesina, è innegabile l'ostruzionismo egiziano che pare a questo punto insormontabile - hanno commentato per bocca del loro legale, Alessandra Ballerini - Un ostruzionismo che anche per le argomentazioni che abbiamo sentito dal pubblico ministero, è del tutto illegittimo. Quindi il problema è l'ostruzionismo egiziano».
A suo modo il sindacalista degli ambulanti Abdallah, che tradì Regeni «vendendolo» ai servizi segreti egiziani, è stato il protagonista dell'udienza. In aula è stato, infatti, mostrato il video dell'incontro, avvenuto il 7 gennaio del 2016, tra lui e Giulio.
Un filmato, di oltre due ore, ripreso da una telecamera nascosta che era stata posizionata dai servizi segreti sulla camicia del sindacalista. Un dialogo, doppiato da Stefano Accorsi e Pif, in cui Abdallah chiede, in modo insistente, notizie sull'attività di Regeni, sul progetto da 10 mila sterline finanziato dalla fondazione britannica Antipode e sul ruolo del ricercatore. «Cosa sarebbe questa proposta - afferma Abdallah - non capisco di cosa si tratta. L'unica cosa che capisco è che ci sono 10 mila sterline. Bisogna stare attenti per non finire in galera».
Regeni spiega che il denaro può essere «investito in qualche progetto, qualsiasi progetto non governativo ma affidato ai privati. Voglio che il sindacato possa tirare fuori dei guadagni e io sono in Egitto solo per la ricerca e non decido io sui soldi».
Il video si conclude con Abdallah che chiama uno degli 007, imputato nel processo. «Ho parlato con il ragazzo, ho paura che il video potrebbe cancellarsi - afferma - ditemi cosa devo fare. Vengo da voi».
Gli apparati di sicurezza egiziani erano, comunque, sulle tracce di Regeni già da giorni. Sentito come testimone Onofrio Panebianco, colonnello del Ros ha detto che «gli apparati, in quel periodo avevano acquisito il passaporto e copia del progetto su cui lavorava il ricercatore. —
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