Vittorio Emanuele Parsi: «Guerra infinita, ora Netanyahu agisce come Putin»

Il politologo Vittorio Emanuele Parsi interpreta quanto sta accadendo in Medio Oriente: «Il disegno è chiaro: alimentare l’equazione che tutti i palestinesi sono terroristi. Una disumanizzazione incivile dell’avversario, e proprio da parte di Israele»

Marco Ballico
Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

«Un discorso di menzogne e violenza. Un discorso di supremazia che esprime l’obiettivo di occupare l’intera area dal Giordano fino al mare». Il politologo Vittorio Emanuele Parsi interpreta quanto sta accadendo in Medio Oriente, dove ieri l’Iran ha lanciato missili balistici su Israele, come conseguenza della strategia di guerra del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ma anche della passività della comunità internazionale. «Quelli dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sono stati slogan che ascoltiamo dai sostenitori dei palestinesi che negano il diritto all’esistenza di Israele, ma Netanyahu ha fatto la stessa cosa. Con l’aggravante che è un capo di Stato e che si trovava in quella sede».

Parole novecentesche?

«Parole che sono un insulto rispetto a un organo che si fonda sul rispetto della sovranità di tutti i membri, compresa una Palestina riconosciuta come un attore delle Nazioni Unite. Dopo di che abbiamo saputo che si trattava di una pantomima servita a distrarre gli avversari da quello che stava per succedere in Libano: il raid su Beirut che ha portato all’uccisione di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah».

In un post social delle forze di difesa israeliane si legge che “Nasrallah non potrà più terrorizzare il mondo”.

«Persona detestabile, per tanti aspetti un criminale, alla guida di un’organizzazione terroristica. Non lo rimpiangeremo, così come non ci sarà da versare lacrime su Hezbollah per la sua entità militare. Ma mi chiedo chi possa pensare seriamente che Israele sia oggi più sicura di ieri perché ha aperto un nuovo fronte, cercando di attirare l’Iran in un conflitto che non voleva combattere. Non perché in Iran siano amanti della pace, ma perché sanno di perderlo. Una supremazia esercitata in maniera violenta da parte di un unico soggetto non potrà portare alla stabilità. A me pare, invece, prodromico di una guerra infinita».

Che cosa è cambiato dal 7 ottobre?

«Netanyahu ha deciso di cambiare la linea strategica di Israele. Fino al 7 ottobre era quella di un multilateralismo sbilanciato, con un attore più forte che riconosceva però la legittimità di tutti gli altri. Oggi siamo all’idea di un’egemonia israeliana fondata sulla superiorità militare e tecnologica ed esercitata fino in fondo, senza alcuna deterrenza. Al punto da oscurare un conflitto ben più grave, quello provocato dall’aggressione della Russia all’Ucraina».

Da dove deriva la maggiore gravità?

«Dall’oggettiva minaccia esistenziale alla sopravvivenza dell’Ucraina. Ma anche in Medio Oriente si è vissuto un anno di barbarie. A partire dall’inaccettabile massacro del 7 ottobre, per proseguire con una vendetta sanguinaria nei confronti di un intero popolo a Gaza, fino al perseguimento dello scopo di cambiare a suon di bombe le condizioni della regione per consentire a Netanyahu di restare in sella, di non affrontare la giustizia internazionale, di non andare in prigione in Israele per i crimini commessi».

La prospettiva di uno Stato palestinese?

«Cancellata dalla testa del capo del governo di Israele. Quando si procederà con l’annessione morso a morso della Cisgiordania, nessuno sarà abbastanza forte da poterla impedire».

Una soluzione pacifica è possibile?

«Con Netanyahu è non poco difficile. Da un lato vengono eliminati i leader radicali, dall’altro indeboliti e umiliati i leader moderati. Dopo quello che abbiamo visto, non ci possiamo aspettare che lo sterminio di palestinesi possa aprire a una prospettiva di pace. Il disegno è chiaro: alimentare l’equazione che tutti i palestinesi sono terroristi, cosicché nessuno pianga per loro. Una disumanizzazione incivile dell’avversario, triste che avvenga per mano di Israele, il cui popolo sa bene cosa significa entrare nel mirino della storia».

Che timori deve avere l’Occidente sul fronte della sicurezza?

«Se si semina vento, si raccoglie tempesta. Chi vede quanto sta accadendo, e ritiene che l’Occidente sia colpevolmente complice, ne trarrà le conclusioni. E colpirà dove potrà. Ma non possiamo applicare ogni volta il doppio standard. Se condanniamo fermamente la guerra brutale di Putin, non possiamo far finta di niente su quello che Netanyahu sta facendo a Gaza. Così portiamo fieno all’alleanza tra Russia, Cina e Sud del mondo che guardano a noi come a una mandria di ipocriti».

Netanyahu come Putin?

«Putin non aveva nessun pretesto per aggredire l’Ucraina, Netanyahu ce l’aveva rispetto a Gaza. Ma il modo in cui si sta comportando verso i suoi nemici non è distinguibile dall’agire di Putin».

Che cosa la preoccupa nel contesto economico?

«Ci interessa che siano possibili gli approvvigionamenti e che si riduca la dipendenze da aree complesse. E vanno garantiti i collegamenti. Una minaccia sulle vie di comunicazione graverebbe per esempio pesantemente sui porti».

Quanto ha inciso la situazione di attesa delle elezioni negli Stati Uniti?

«Un opportunista come Netanyahu, che da sempre coltiva il progetto di una grande Israele, ne ha approfittato. Sa bene che gli Stati Uniti sono bloccati e, dovesse vincere Trump, gli spazi per lui si aprirebbero ulteriormente. Tutto questo nell’illusione terribile che una guerra possa segnare la fine di tutte le guerre. Ci siamo già passati e non è mai servito. Eppure, lo vediamo mettere in atto da Israele e non diciamo niente. Un’impunità totale».

Nel giorno dei suoi 100 anni Jimmy Carter fa sapere di voler resistere fino al voto per Kamala Harris. Una vittoria di Harris è una via per la pace?

«È la premessa indispensabile. Se vince Trump, avremo un mondo più barbaro, in cui sarà sempre più difficile distinguere i buoni dai cattivi».

Che sfida sarà?

«Gli ultimi sondaggi sono meno positivi dei primi. Ma manca un mese abbondante, vediamo che succede. Del resto, prima che Harris diventasse la sfidante, la battaglia era perduta in partenza».

Per colpa di Biden?

«No. Sono convinto che, come per Carter, il tempo sarà galantuomo. Anche Biden verrà riconosciuto come un grande presidente».

L’Europa come si sta muovendo in questo scenario?

«Sulla questione israelo-palestinese, per motivi storici i Paesi europei sono bloccati. Il dibattito italiano, in particolare, rimane come sempre ostaggio delle opposte tifoserie, di curve tra le più retrive. Non mi aspetto molto, ma credo che sia importante per chi fa il nostro mestiere portare sul tavolo coerenza, ragionevolezza, ma anche coraggio. Gli autocrati bestiali vanno condannati, ma lo stesso si deve fare con le democrazie che agiscono brutalmente».

Il pericolo di una guerra mondiale?

«Io appartengo alla scuola di chi sostiene che il rischio si allontana con la fermezza nei confronti di chi usa la violenza per fare tutto quello che vuole. Un bullo, se non viene bloccato, commetterà prima o poi l’errore di trascinare il mondo in una guerra allargata».

Chi può mostrare questa fermezza?

«Le democrazie occidentali sono chiamate a una maggiore risolutezza. Altrimenti, non aspettiamoci che i nemici delle società aperte facciano quello che noi ci rifiutiamo di fare». —

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo