Trent’anni fa in Somalia l’agguato a Miran Hrovatin. I ricordi del figlio Ian diventano un podcast

Il cineoperatore venne ucciso mentre lavorava insieme a Ilaria Alpi

ad un’inchiesta su armi e rifiuti. «Quel lavoro era una vocazione»

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin durante uno dei loro reportage in Somalia
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin durante uno dei loro reportage in Somalia

Era una domenica il 20 marzo 1994. Quel giorno di 30 anni fa il cineoperatore triestino Miran Hrovatin e la giornalista Ilaria Alpi - inviati dal Tg3 per documentare la guerra civile somala -, vennero freddati mentre lavoravano a un'inchiesta sui traffici illeciti di armi e rifiuti tossici tra la Somalia e l'Italia.

Attorno alla loro morte si è innescata una lunga e controversa vicenda, che ha coinvolto commissioni parlamentari, presunti tentativi di depistaggio, incarcerazioni, assoluzioni e richieste di archiviazione, e che attende ancora di vedere conclusa la battaglia per la verità.

Tante le iniziative in programma oggi per ricordare il sacrificio dei due giornalisti nel trentennale della morte. A Roma verrà scoperto un murales a loro dedicato davanti al liceo Tito Lucrezio Caro, la scuola frequentata da Ilaria. A Trieste Miran verrà ricordato nella Sala del Consiglio comunale alle 11.

Alle 12 l’Ordine dei giornalisti, Assostampa, Articolo21 del Friuli Venezia Giulia e la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin invitano a portare un fiore al giardino di Barcola intitolato all’operatore. Sempre oggi, alle ore 10, Daniela Schifani Corfini Luchetta, presidente della Fondazione, parteciperà a Roma alla Biblioteca nazionale alla commemorazione organizzata dall’Ordine nazionale dei giornalisti per ricordare tutti i giornalisti caduti, e in particolare quelli di cui ricorrono anniversari decennali. «Riflettendo su quei momenti passati, è incredibile come dalla profonda sofferenza siano nati la Fondazione e il Premio Luchetta. Queste iniziative sono il frutto della volontà di onorare la memoria di Marco e dei suoi colleghi, nonché del giornalismo di alta qualità. Oggi il mio pensiero va a Miran e Ilaria», dichiara.

Alle 17, al Teatrino Franco e Franca Basaglia di Trieste verrà poi proiettato il film nel quale la moglie, il figlio e gli amici di Hrovatin raccontano la sua storia e la sua vita. Un documento dal quale emerge la grande vitalità dell’operatore dell’informazione, un lato del suo carattere rimasto immutato anche quando si trovava a raccontare in prima persona attraverso le immagini guerre e tragedie. E sempre il figlio di Miran, Ian, ha scelto di raccontare il padre per il podcast dell'Ansa “Ilaria e Miran - Somalia '94”. Quando il genitore morì, lui aveva solo 8 anni: di quella domenica 20 marzo, quindi, ricorda poco. «Nella mia memoria, però, rimane quello che è successo già dal giorno dopo. Perché è stato uno spartiacque nella mia vita».

In questi anni Ian, oggi trentenne, ha preferito non parlare e tenere Un profilo basso. «Il giornalismo è stato sempre molto pressante. Ne abbiamo preso le distanze. È stata una decisione mia e di mia madre». Ora, invece, la voglia gli raccontare Miran, nato a Trieste l'11 settembre del 1949, è tornata. «Per mio padre quel lavoro era una vocazione. Ne era innamorato. E poi era una persona estremamente generosa, forse fin troppo. «Per lui c'era un vincolo stretto con i Balcani. Proprio per le sue origini (Hrovatin era esponente della comunità slovena), aveva una sensibilità più forte di altri. Si era sentito in dovere di documentare cosa stava accadendo in Bosnia».

Di lì la scelta di partire per Sarajevo e restare per lunghi periodi. Poi il viaggio in Somalia con Ilaria. «Era andato col desiderio di affrontare un contesto diverso. Mia madre mi racconta che era partito con molta serenità, con l'idea di tornare dopo un paio di settimane». A casa, invece, non tornò mai più.

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