Sinistra vincente: Schlein festeggia, ma la destra non è sconfitta

Carlo Bertini
La segretaria Elly Schlein durante la Direzione Nazionale del Partito Democratico a Roma, 5 luglio 2024. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
La segretaria Elly Schlein durante la Direzione Nazionale del Partito Democratico a Roma, 5 luglio 2024. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

È vero, se si apre il sito del Partito democratico di Elly Schlein campeggiano a tutta pagina i numeri della vittoria delle sinistre in Francia, con la torta ben divisa a spicchi colorati per far vedere bene quanto sia stata netta questa vittoria. Mentre sul sito del FdI di Giorgia Meloni non se ne fa cenno. È scontato dunque che il risultato francese del Fronte popolare sia un buon viatico per i progetti di grande coalizione progressista di Schlein. Ed è vero che nel circuito di collegamento tra Roma e Parigi la destra italiana non ha certo gioito per la botta a sorpresa incassata dalla regina del Rn Marine Le Pen. Però…

Sì, c’è un però. Nascosto quanto si vuole, ma di certo non nei pensieri della premier italiana. Anche se non lo può dire o far trapelare, la sconfitta della destra francese in qualche modo la favorisce su un terreno delicatissimo, quello europeo. Perché la ritirata di Le Pen dal proscenio dei vincitori, ovvero di una leader che la avrebbe giocoforza oscurata, lascia Meloni leader incontrastata delle destre continentali, l’unica a dare le carte sperando di poter infilare qualche asso nella manica oggi.

Secondo. Non è indifferente il fattore sintonia, umana e politica: non è un mistero che tra Giorgia e Marine non scorra buon sangue e che su molti dossier le loro visioni siano distanti. Ora, non è affatto escluso che le posizioni più atlantiste e filo Ucraine di Meloni la favoriscano nella trattativa con l’establishment Ue, forse più propenso a concederle qualcosa proprio ora, che si va verso un conflitto permanente dei liberali, popolari, verdi e socialisti europei con quella destra estrema riunitasi nel neo gruppo dei Patrioti dell’ungherese Orbàn, cui Ursula Von der Leyen potrà dare ben poco. La faglia che attraversa la destra europea è l’Ucraina e non è un caso che il premier ceco, Petr Fiala, rimasto con i polacchi di Pis nel gruppo Ecr dei conservatori guidato da Meloni, bolli i Patrioti come un “gruppo filo-Putin”. Così come non è un caso che ieri il braccio destro della premier, Fazzolari, da palazzo Chigi abbia diffuso una netta condanna dell’azione sull’ospedale pediatrico colpito dai russi. Proprio a ridosso delle febbrili giornate di trattativa sulle vicepresidenze e sui posti che contano nella commissione Ue che sarà varata dopo il 18 luglio. E nei giorni in cui si tiene il vertice Nato a Washington, dove è volata la premier italiana. Insomma, è come se Meloni avesse voluto lanciare all’Europa il messaggio «a destra non stiamo tutti con Putin, guardate me...».

In casa Pd, certo questa vittoria è una spinta all’unità, tanto che lo slogan ora è «la destra si può battere». Sui modi per arrivarci, però, sottotraccia si confrontano due visioni: di chi non vedrebbe male un’alleanza francese che comprenda anche il partito di Melenchon, tenendo dentro tutto il Fronte Popolare; e chi invece vorrebbe vedere un’alleanza che va dai verdi alla destra moderata gollista, una sorta di governo di salute pubblica, che tagli le ali estreme, ovvero Bardella e Melenchon, magari guidato dal riformista Glucksmann. Una sorta di laboratorio da replicare un domani in Italia. Ma la segretaria dem non si dà pensiero. Per concludere, se Elly Schlein ne esce comunque vincente, Giorgia Meloni non esce perdente da questa partita d’oltralpe. —

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