Le testimonianze: «26 Ottobre 1954. Trieste ritorna italiana e io c’ero»

Novella Bessi, ritratta a 19 anni nella foto simbolo scattata da de Rota. Ma non solo. Anche i lettori del Piccolo che hanno condiviso i loro ricordi. Eccoli 

Piero Tallandini

L’immagine della 19enne Novella Bessi, figlia di Mario, capo usciere del Gabinetto del Sindaco, mentre sventola il tricolore dal tetto per salutare i soldati italiani è diventata un’icona del 26 ottobre 1954. E non a caso, quella foto scattata da Adriano de Rota è stata scelta anche come immagine-manifesto del programma di iniziative culturali preparato per celebrare il 70esimo del ritorno di Trieste all’Italia.
 

In bianco e nero Novella Bessi, all'epoca 19enne, mentre sventola il tricolore nella storica foto scattata da Adriano De Rota e scelta come sovracopertina del Piccolo di oggi
In bianco e nero Novella Bessi, all'epoca 19enne, mentre sventola il tricolore nella storica foto scattata da Adriano De Rota e scelta come sovracopertina del Piccolo di oggi

Quella di oggi, per Novella Bessi, sarà una giornata particolare: l’occasione per far riaffiorare dopo settant’anni emozioni mai dimenticare. «È passato tanto tempo, eppure il ricordo è ancora intatto. Del resto è stato uno dei giorni più belli della mia vita – racconta – irripetibile, di gioia pura, di liberazione dopo un periodo così incerto e tragico. Meno di un anno prima, Pietro Addobbati (il 16enne ucciso nel 1953 durante i moti di novembre ndr) era morto in braccio a mio fratello e anche nei giorni immediatamente precedenti il 26 ottobre del ’54 si respirava ancora un clima di apprensione, in particolare nella sede municipale dove noi alloggiavamo. Ricordo la tensione che si sentiva la sera prima: c’erano mio papà, il sindaco Gianni Bartoli. Ore di pioggia e di attesa. Poi, finalmente la mattina la tensione si sciolse e ci fu spazio solo per una gioia liberatoria».

Novella Bessi
Novella Bessi

«Per festeggiare – spiega Novella – decisi di salire sul tetto e, scavalcata la recinzione, mi misi là in bilico sopra il comignolo a sventolare il tricolore. Ovviamente mio papà non voleva perché era pericoloso, ma all’epoca non soffrivo di vertigini e l’entusiasmo era incontenibile. In quel momento c’era de Rota che stava facendo delle foto dall’alto e così immortalò anche me. Ma non avrei mai pensato che questa foto sarebbe diventata così importante e simbolica. Dopo 70 anni è bello tornare indietro con la memoria a quei momenti, soprattutto pensando a chi non è più con noi».

Come Novella, molti altri ricordano quel 26 ottobre di 70 anni fa. Abbiamo raccolto qui le testimonianze che i lettori ci hanno inviato. Per leggere le loro storie, integralmente, basta cliccare sul nome. 

Saveria Candeliera Massolino

In casa, da tempo, si parlava di quello che stava per accadere; non capivo molto e poi la mia attenzione era rivolta tutta, con tanta gelosia, al fratellino nato in agosto, che mi aveva spodestata dalla posizione di figlia unica.

E arrivò il giorno. Pioveva, pioveva e ancora pioveva. In braccio al mio papà, attaccata al manico del suo ombrello, osservavo tutta quella gente, tante persone che si guardavano attorno e aspettavano.
 

Poi improvvisamente, anticipati da un suono di tromba, arrivarono i Bersaglieri; uno rallentò la corsa e mi regalò una piuma staccata dal suo cappello.
 

Tra la gente che applaudiva, io con il mio papà, una piccola coccarda tricolore sul cappottino azzurro e una piuma in mano. Bellissimo. Io c’ero.

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Flavia D’Agostini 

Nell’ottobre 1954 avevo 7 anni; ero bambino ma avevo vissuto con intensità quegli anni difficili per Trieste. L’anno prima nel novembre 1953 avevo visto dalla mia finestra in Via Madonna del Mare la carica della Polizia Civile contro gli studenti che manifestavano davanti all’ Istituto Magistrale Carducci gridando “fora fora” alle ragazze che non avevano scioperato ed erano rimaste a scuola. La polizia civile era giunta in forze con le camionette in assetto antisommossa con dentro gli agenti dagli elmetti neri e lucidi e soprattutto con i manganelli. A completare l’opera gli idranti che, oltre ad inondare i manifestanti, fecero imbizzarrire un cavallo che si trovava fermo nella via con il carretto che trasportava merce per un vicino negozio di frutta e verdura. Ho vari altri ricordi del novembre 1953 di cui qui non parlo per non dilungarmi troppo.
 

Il 26 ottobre il papà, prima di andare in piazza Unità, comprò il giornale e con mia grande sorpresa vidi che la testata era cambiata: non più il “Giornale di Trieste” ma “Il Piccolo”. Arrivati nella piazza vidi dei poliziotti con una divisa mai vista prima. Sinora avevo visto solo “cerini” (polizia civile) e vigili urbani (che allora era chiamata polizia amministrativa): Erano i Carabinieri che formavano un cordone che divideva in due Piazza Unità all’altezza dell’Hotel Duchi d’Aosta (allora Vanoli) sino all’attuale Passo di Piazza Antonio Fonda Savio.
 

Ero tra le prime file, stavo in mezzo alla gente con il papà, e non succedeva ancora niente, non si vedevano nè movimenti di truppe né di navi. Ad un certo momento uno dei Carabinieri passò in mezzo alla gente informando che tra poco il cordone sarebbe stato tolto per cui era opportuno che i bambini venissero portati via per non venire travolti dalla folla che sarebbe corsa in avanti verso le rive. Fu così che venni portato sotto il loggiato della Prefettura ed era la prima volta che mi trovavo solo in strada senza i genitori; mi sentivo però tranquillo perché pensavo di poter essere in grado di tornare a casa in Via Madonna del Mare da solo.
 

Seppi molti anni dopo cosa fosse accaduto: Il cordone di Carabinieri lasciava libera mezza Piazza Unità per consentire il passaggio del generale De Renzi che avrebbe dovuto recarsi in Prefettura per lo scambio di consegne con il generale Winterton, La cerimonia fu poi annullata perché Winterton avrebbe dovuto attraversare la piazza e temeva le sonore contestazioni della gente. Il cordone di Carabinieri fu pertanto sciolto e la gente fu libera di correre verso le rive.
 

Da sotto il loggiato della Prefettura cominciai a sentire rumori ed applausi e vidi tanti camion militari che attraversavano le rive, ma quello che più mi colpì e di cui ancora adesso ho un vivido ricordo fu la grande sagoma del cacciatorpediniere Grecale che stava attraccando davanti a Piazza Unità, con l’imponente fumaiolo leggermente inclinato all’indietro.
 

Dopo qualche tempo (ore ?) rividi mio papà. Il tempo era migliorato, non pioveva più e stava comparendo un pallido sole. Con lui andai sulle rive e vidi le altre navi; il Carabiniere, quasi gemello del Grecale sul lato sud del Molo Audace e l’Artigliere con i suoi due alti fumaioli sul lato nord del molo. Nel frattempo si stava ormeggiando alla Stazione Marittima l’incrociatore Duca degli Abruzzi del quale mi meravigliavano le sue torri trinate dei cannoni di grosso calibro. In strada intanto, i militari venivano salutati ed in molti casi abbracciati dalla gente; particolarmente “attenzionati” erano i bersaglieri ai quali veniva chiesto una piuma del loro cappello. Agli altri venivano chieste le mostrine o i distintivi del corpo.
 

La successiva giornata del 4 novembre la vissi in modo diverso. Era una splendida giornata di sole e, forse perché in ritardo, non si andò in Piazza Unità già gremita di gente. Ci sistemammo sulle rive all’altezza della Stazione Marittima. Ogni tanto venivo preso sulle spalle dal papà per vedere qualcosa. Davanti a noi c’era la banda dei Carabinieri in alta uniforme con i pennacchi bianchi e rossi. Vidi passare l’automobile scoperta con a bordo il Presidente Einaudi e la moglie, e l’interminabile parata dei militari (ricordo gli alpini sciatori in divisa completamente bianca). Si sentivano poi, portati dagli altoparlanti, i discorsi delle autorità e sentii anche i fischi quanto il Presidente del Consiglio Scelba accennò alla necessità di cercare accordi di pace con la Jugoslavia. Sentìì anche, più volte invocato dalla folla, il nome di Pella che era stato Presidente del Consiglio durante le giornata del novembre 1953 ed aveva dimostrato fermezza nei confronti delle pretese di Tito.
 

Nel pomeriggio altro giro in Piazza Unità (era ferma davanti al Municipio l’automobile scoperta del Presidente Einaudi e potei vederla da vicino) e sulle rive dove erano ormeggiati gli incrociatori Duca degli Abruzzi e Montecuccoli, la nave scuola Vespucci e navi minori che occupavano tutto il bacino San Giusto.

Alma Cosulich Gabrielli

Il 26 ottobre è stata per me una giornata indimenticabile. Tanta pioggia, tantissima folla che invadeva la Piazza dell’Unità e le Rive perché l’Italia tornava a Trieste.

C’era un’attesa spasmodica per il preannunciato arrivo delle truppe italiane, una lunga attesa che era iniziata diversi anni prima, ma che raggiunse l’apice a seguito delle manifestazioni dell’anno precedente, soffocate con la morte di Pierino Addobbati e di altri giovani e meno giovani, nonostante l’ordine dato dal Generale Winterton di ‘sparare una salve di avvertimento’. Anche io avevo preso parte a quelle manifestazioni.
 

I volti in Piazza Unità erano gioiosi, in alcuni però scorgevi una tristezza di fondo! Erano gli istriani che si domandavano quando sarebbe stato il momento in cui anche le proprie cittadine sarebbero ritornate italiane, per far rientro nelle loro case.

Ho avuto modo di vedere attraccare le navi; in seguito, pian piano, sono arrivati da Duino i mezzi militari carichi di soldati, fra cui tanti Bersaglieri, con i loro cappelli ricchi di piume. La gente, entusiasta, abbracciava i militari italiani.

Nella mia baldanza sono salita su una nave militare, seguita da altre persone, arrampicandomi sulla fune di attracco; arrivati a bordo siamo stati accompagnati alla scaletta perché ci allontanassimo.
 

La cosa più buffa è stata la fuga precipitosa del Generale Winterton in seguito all’avvicendamento dei poteri: temendo forse di essere fischiato ha evitato di farsi notare dalla folla. Come tante altre persone anche io in quella piovosa - ma non meno gioiosa - giornata ho ricevuto dai Bersaglieri in dono alcune piume, che ancora oggi conservo gelosamente. Il cuore mi batteva forte, e al solo ricordo mi commuovo rivivendo le forti emozioni provate nel rivedere Trieste nuovamente unita alla Madre Patria.

Loredana Ferencich

Io ho vissuto a Trieste il 26 ottobre 1954! Avevo quasi 14 anni e ricordo la folla assiepata in maniera inverosimile in Piazza Unità e lungo le rive, Ero " schiacciata" anch'io e, un po' ridendo un po' con un "filo" di ansia, temevamo di poter essere via via risospinti al limite della riva! Giornata indimenticabile! La gioia, l'entusiasmo, anche la commozione dell'immensa folla! Ecco..... solo un gran bel ricordo! Una bella pagina della nostra storia! Buon lavoro a voi!

Annamaria Zennaro Marsi

A Trieste si stava preparando uno stravolgimento storico. La città si apprestava a ricevere i soldati italiani e a salutare definitivamente il governo militare alleato. I cittadini erano in subbuglio e la tensione emotiva raggiungeva lo zenit.
 

Al Silos, il nostro ricovero di tavole, carta e cartoni, noi ragazzi più grandicelli ci eravamo organizzati per sistemarci davanti alla stazione ferroviaria ed attendere in gruppo l’arrivo delle truppe, ma il maltempo, con pioggia battente e bora impetuosa, ci costrinse, all’ultimo momento, a ripiegare dietro alle poche finestre del “Palazzo”,( così avevamo battezzato quel casermone), che davano sulla piazza Libertà.


Da quell’osservatorio privilegiato, a turno, potevamo dominare tutta la piazza ed assistere all’incredibile spettacolo che appariva ai nostri occhi.


Gente disposta su più file che s’ingrossavano a vista d’occhio, giovani arrampicati su tutti i rami degli alberi del giardino e sopra il tetto dell’ex mensa del “Diurno”, (la palazzina ristorante, docce e servizi ormai demolita). Finestre e cornicioni dei palazzi intorno occupati da ragazzi temerari con in mano vistosi tricolori, una fioritura di ombrelli colorati, volantini che scendevano dal tetto della stazione centrale, bandiere dappertutto, in un tripudio di entusiasmo e di intensa eccitazione.
 

All’interno del Silos i bambini della scuola materna, partecipavano al giocoso evento, sventolando, lungo i corridoi, le bandierine tricolori.


Si percepiva l’inizio di un cambiamento nella nostra vita grama, l’arrivo di una redenzione che avrebbe restituito a noi profughi la dignità rubata, un risarcimento che avrebbe finalmente lenito le pesanti sofferenze dell’abbandono forzato della nostra vita serena, delle nostre case, dei nostri nonni, dei nostri amici, parenti, animali, orticelli, campagne, cisterne, delle nostre chiese, scuole, abitudini, della nostra cultura, tradizioni e dei nostri incancellabili affetti.
 

Quando apparve la prima camionetta di soldati italiani, vedemmo la folla ondeggiare e spingersi al centro della strada per vederla meglio, toccarla e abbracciare i militari. Alcuni si arrampicarono sui camion, tenendo aperti gli ombrelli e facendosi condurre lungo il corso Cavour. Scene memorabili di un avvenimento storico indimenticabile!
 

Noi accalcati davanti alle finestre, con i battiti del cuore impazziti, assistemmo per ore al passaggio delle truppe italiane, mentre la radio comunicava la partenza dell’ultima nave americana che abbandonava il nostro porto e l’arrivo del primo incrociatore italiano: il Duca degli Abruzzi che, preceduto da tre cacciatorpediniere, attraccò al molo, applaudito da una folla trabocchevole e osannante.
 

La settimana seguente, il 4 di novembre, potemmo seguire, sempre dalle finestre, già prenotate anche presso le famiglie che ne disponevano, tutta la parata. Sfilarono davanti a noi i luccichii degli elmi, e delle decorazioni dei corazzieri a cavallo, in alta uniforme, che affiancavano l’auto scoperta del presidente Einaudi e tutte le compagnie militari di terra e di mare, gli alpini, i bersaglieri, i carabinieri e le ausiliarie. Uno spettacolo esaltante!
 

Il passaggio delle autorità avvenne questa volta in una splendida giornata di sole tra una folla inneggiante e raggiunsero la piazza dell’Unità d’ Italia, ricevuti dal sindaco ing. Gianni Bartoli, finalmente con la fascia tricolore sul petto e, sicuramente, con il fazzoletto pronto in tasca per detergere l’immancabile lacrima di commozione.
 

Quella data determinò la consegna di Trieste e della zona A all’Italia, ma anche quella definitiva dell’Istria e della zona B alla Yugoslavia e, per manifestare quel profondo dolore, lo stendardo con la capra, simbolo dell’Istria venne listata a lutto.

Dopo il Memorandum di Londra del 1954, ci fu quello che venne denominato “il secondo esodo”. Altri profughi vennero aggiunti e ospitati in un nuovo spazio aperto sull’ala destra del Silos detto “il Cameron “.
 

Anche gli altri campi profughi di Padriciano. S. Saba, Santa Croce vennero integrati di “baracche, per ospitare i nuovi arrivati, ma era anche giunto il momento di liberare gli spazi con il primo svuotamento. Il Silos venne definitivamente sgomberato intorno al 1962.
 

L’avvenimento per noi profughi avrebbe dovuto rappresentare il compendio di tutte le nostre speranze, il raggiungimento di quello che avevamo ambìto scappando, la protezione della nostra vita distrutta, il risarcimento di tutte le sofferenze sofferte o perlomeno una gratificazione al tragico e disperato abbandono che aveva dilaniato le nostre vite..

Maria Luisa Zernetti

Sono di Monfalcone, e quella giornata la ricordo molto bene. Ero una ragazza, avevo una gonna di panno verde, una camicetta bianca e un gilet rosso, e con un bel gruppo di concittadini salpammo dal porticciolo di Monfalcone a bordo di un battello per andare a "conquistare" Trieste. Sbarcammo proprio davanti a piazza Unità d'Italia gremita di gente.

Clara Pauluzzi

Avevo otto anni. Quel giorno, sotto un cielo grigio e grosse gocce di pioggia, ero in Piazza Unità in mezzo a una folla che mi sembrava infinita.
 

Stringevo forte la mano di mia mamma ma non avevo paura. Tutti erano allegri, felici, gioiosi.
 

Un gruppo di ragazze attorno ad una camionetta di bersaglieri chiedeva scherzosa una piuma del loro cappello per ricordo. I bersaglieri rispondevano con rammarico che non potevano farlo. Sarebbero rimasti "spiumati". Di quella giornata conservo un fazzolettino di seta tricolore con scritto 'W Trieste italiana'. Nel cuore custodisco un bellissimo ricordo.

Pietro Forleo

Di quella giornata ricordo nitidamente tutto. I miei ricordi però iniziano un decina di giorni prima, quando di rientro dalla libera uscita (mi trovavo di stanza a Chieti) vengo chiamato a rapporto.

Mi viene detto di prepararmi che da lì a poche ore sarei partito per Trieste al posto di un collega improvvisamente ammalatosi. In quei giorni tutti noi sapevamo dell'imminente ritorno della città all'Italia e già a quella notizia iniziai a provare emozione mista a curiosità per un posto dove non ero mai stato. Assieme a tutti gli altri carabinieri (ricordo giovani come me) fummo inizialmente alloggiati presso la caserma Cavarzerani ad Udine per circa una decina di giorni. Alle 2 del mattino del 26/10 ci fu una improvvisa adunata nel cortile della caserma dopo la quale fummo fatti salire su camion militari e portati a Trieste. Arrivammo alle prime luci dell'alba, sotto una pioggia che ricordo fine ed insistente.
 

Ho ancora netto il ricordo di centinaia di persone che,festanti, già a quell'ora erano in strada. Circondarono i nostri camion tanto che facemmo fatica a scendere. Ci abbracciavano, baciavano dicendoci grazie tra le lacrime. Fu solo l'inizio di una manifestazione di affetto e gioia che non ho mai dimenticato. A fatica riuscimmo ad arrivare marciando sulle rive (il mio plotone era comandato di fronte all'hotel Excelsior). Dovunque baci, abbracci, ringraziamenti e lacrime, gioia e lacrime che contagiarono anche molti di noi unitamente ad un orgoglio mai provato prima per essere partecipi di questa giornata poi divenuta storica.
 

Ricordo il mare infinito di ombrelli, ricordo l'atmosfera di tripudio che c'era. Sentii parlare il sindaco Bartoli ed il ministro Scelba.
 

Tale era il coinvolgimento emotivo (gioia, orgoglio, fierezza di essere lì) che la pioggia, il vento pomeridiano (la mia prima Bora) e la stanchezza non si sentirono. A tarda ora raggiungemmo la caserma di via Rossetti dove scoprimmo che tutti i nostri effetti nonchè gli arredi delle camere a noi destinate erano rimasti su dei vagoni in stazione. Ci arrangiammo per quella notte con della paglia presa nel vicino ippodromo.
 

L'ultimo ricordo che ho di quelle giornate è che in libera uscita (in divisa) venivamo continuamente festeggiati e ringraziati e le ragazze volevano, come una sorta di trofeo, i bottoni e gli alamari delle nostre giacche che ci venivano letteralmente strappati
 

A festeggiamenti conclusi venni destinato a Trieste, caserma San Giorgio, dove si può dire iniziai sia la mia carriera nell'Arma (la foto che vi invio è di quei giorni con l'alabarda già appuntata al bavero!!) sia la mia vita in questa città dove ho formato la mia famiglia. Vi ringrazio per avermi consentito di rinverdire quei momenti

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Anna Zennaro

Al Silos, il nostro ricovero di tavole, carta e cartoni, noi ragazzi più grandicelli ci eravamo organizzati per sistemarci davanti alla stazione ferroviaria e attendere l’arrivo delle truppe, ma il maltempo, con pioggia battente e bora impetuosa, ci costrinse a ripiegare dietro alle poche finestre del “Palazzo” (così avevamo battezzato quel casermone), che davano sulla piazza Libertà.

Da quell’osservatorio privilegiato potevamo dominare tutta la piazza e assistere all’incredibile spettacolo. Gente disposta su più file che s’ingrossavano a vista d’occhio, giovani arrampicati su tutti i rami degli alberi e sopra il tetto dell’ex mensa del “Diurno”. Finestre e cornicioni dei palazzi occupati da ragazzi temerari con in mano vistosi tricolori, una fioritura di ombrelli colorati, volantini che scendevano dal tetto della stazione centrale, bandiere dappertutto, in un tripudio di entusiasmo e di intensa eccitazione

Francesco Hlavaty

Era il 26 ottobre 1954, mio ventiduesimo compleanno, e avevo già circumnavigato il globo. Da poco tornato a casa avevo l’occasione storica di vivere il ritorno dell’Italia a Trieste. Nessuno aveva dormito. Nella piazza intasata di ombrelli, tra le raffiche di bora, mi ero trovato con un gruppo di amici sotto il palazzo del Lloyd. Nell’angolo dove era caduto uno dei ragazzi del novembre ’53

Suscitando un’indescrivibile emozione, la tromba aveva suonato l’attenti e la banda intonato l’inno mentre sui pili lentamente saliva il tricolore. Nel commovente tripudio il pensiero andava a chi ci aveva lasciato in quei 14 anni, ai nostri padri caduti. Anche a quel ragazzo ucciso in quel punto e al quale eravamo debitori. Qualche ragazza cominciò sommessamente a piangere, anche i ragazzi lo facevano, senza lacrime. Era finito quel drammatico arco di tempo provvisorio, cominciato da bambini, che ci aveva obbligati a diventare uomini anzitempo

Flavio Dagostini

Ero un bambino, ma avevo vissuto con intensità quegli anni difficili per Trieste. Nel novembre 1953 avevo visto dalla mia finestra la carica della polizia civile contro gli studenti che manifestavano davanti all’istituto magistrale Carducci. Il 26 ottobre il mio papà, prima di andare in piazza Unità, comprò il giornale e con mia grande sorpresa vidi che la testata era cambiata: non più il “Giornale di Trieste”, ma “Il Piccolo”.
 

Poi, la folla in piazza Unità: Da sotto il loggiato della Prefettura cominciai a sentire rumori e applausi e vidi tanti camion militari che attraversavano le rive, ma quello che più mi colpì fu la grande sagoma del cacciatorpediniere Grecale che stava attraccando davanti a piazza Unità. La successiva giornata di festa del 4 novembre la vissi in modo diverso. Quella era una splendida giornata di sole e, forse perché in ritardo, non si andò in piazza Unità, già gremita di gente

    
Tullio Cappelli Haipel

La recente ricorrenza del 26 ottobre 1954 in Trieste ha suscitato in me un rimpianto della commozione dell’incontrollabile felicità di una città in festa, di una piazza, di strade di marine trasformate in una distesa di ombrelli, fra i quali, tra grida inneggianti all’Italia, appariva in varie forme il nostro tricolore.

Non nascondo di essere rimasto un po’ deluso della cerimonia in piazza dell’unità comunque significativa. Tuttavia tutto finito alle 10 almeno almeno per la cittadinanza, modesto lo schieramento d’armi e soprattutto senza la Guardia di Finanza e la pattuglia delle frecce ridotte il numero. L’inno italiano è quello di San giusto poco si sentiva. Poi la piazza me l’aspettavo con più presenze. E pochi giovani ai quali forse non sono stati raccontati gli eventi e cioè quanto è stato combattuto in Trieste per tornare alla patria. io abitando in palazzo Brigido dalle mie finestre

vedevamo tutto: l’ambulanza costretta a sfondare lo sbarramento fatto dagli inglesi e dai “cerini“ per raggiungere il ragazzo ferito a morte da un soldato che, uscito dal municipio, gli sparò alle spalle e poverino era uscito a prendere le uova per la torta del suo compleanno e conoscevamo

la mamma. Ma impressionato, ricordo quel ragazzino sorpreso dal coprifuoco alle nove del mattino, preso da due inglesi e fatto camminare dal municipio al mare fino alla sera, quando sparì e la famiglia non seppe più nulla.

E le cariche a cavallo sempre degli inglesi affiancati dagli GMA! Poi il ricordo, io bambino di sette anni, di una notte di entusiasmo attorno a me poi di ansia e infine di paura. Una serie di automobili portavano sul parabrezza un tricolore con sopra scritto “comitato di accoglienza“. Nella nuova Fiat 1100 di mio padre il tardo pomeriggio del 25 ottobre iniziò una lunga attesa di quei soldati italiani che dovevano arrivare. Ricordo che noi ci avvicinavamo verso Miramare e altre vetture percorrevano l’altipiano. Queste furono aggredite prese fra due falò all’altezza di Aurisina, in mezzo una Giulietta azzurra del padre di un compagno di scuola che certo ricorderà. Da Muggia e dalla CURIA informavano che c’erano trattative frenetiche in corso ipotizzando la necessità di vari corpi armati italiani di entrare in Trieste con l’azione di forza. Ci fu comunicato l’invito di ritornare per prudenza indietro! Tito già dal 1953 aveva ammassato truppe , carri armati su tutto il confine tra la zona A e la zona B. Noto e’il fatto che anche le navi che dovevano partire da Venezia, l’incrociatore Duca degli Abruzzi e i cacciatorpedinieri Granatiere, Artigliere e Grecale con l’ammiraglio Candido Bigliardi si sarebbero mossi scortati da aviogetti di stanza a Istrana.

E sembrava che Tito in persona fosse a Castel Servolo a guardare Trieste assieme a cannoni puntati sulla città. Da fonti protagoniste arrivarono queste informazioni! Il nefando “Memorandum di Londra” che di fatto con tale atto ,già alla firma , alcuni alleati acconsentirono di usare l’Istria come moneta di scambio e lì fu condannata terra italiana, nonostante l’arcivescovo Santin protestasse a Roma, lo stesso trattato stava per essere violato con le armi dagli Jugoslavi.

S.E. l’arcivescovo Santin mi ha lasciato due oggetti e un personale sigillo ,testimonianze di quell’atto , e li conservo come reliquie! A sentire , in auto, parlare di guerra e dopo aver assistito a scene pietose dal palazzo Brigido , non nascondo ,da bambino, provavo uno stato più che di pauradi ansia . Poi dopo un’ intera notte in auto sotto la pioggia e dopo che il generale De Renzi , amico di famiglia , ricevete il via libera in caserma Savorgnan in Udine , finalmente e credo fossero le cinque di mattina apparvero i primi motociclisti italiani al bivio di Miramare. Peccato non “ commuovere” i giovani con maggiori pubbliche solennità per suscitare in loro oggi ignari, il rispetto di quei valori che distinguono un vero amor di patria dal distorto nazionalismo

Coetaneo di Novella infine, e come lei ancora in perfetta forma, è Franco Isola, primo autiere a entrare a Trieste quel 26 ottobre.

Franco Isola
Franco Isola

«Rivedo tutto, come fosse oggi, a cominciare da quelle due ali di folla ai bordi della strada che applaudivano e si accalcavano attorno a noi – ricorda Isola, che ieri è stato ricevuto dal sindaco Roberto Dipiazza in Municipio –. La città era tutta tappezzata con i tricolori, c’era un entusiasmo incredibile, nonostante il freddo e la pioggia. La gente voleva abbracciarci, c’era chi cercava di strapparci le mostrine per portarsele a casa come ricordo, come si fa adesso con le maglie dei calciatori. Io allora ero di stanza a Forlì e avevo saputo della partenza per Trieste solo pochi giorni prima. Mi sentivo molto orgoglioso di essere stato partecipe di questo ritorno di Trieste all’Italia, una giornata unica, che porterò sempre nel cuore».

«Poter essere di nuovo qui dopo tutto questo tempo per assistere alle celebrazioni per il settantesimo è qualcosa di straordinario e mi fa rivivere quelle emozioni – aggiunge Isola –. Credo che il 26 ottobre 1954 debba essere una data storica per tutti, non solo per i triestini, perché ha rappresentato, finalmente, il completamento dell’Italia».

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