Zeruya Shalev: «Scrivo storie come se scavassi nell’anima»

Israele, il terrorismo, l’amore nel suo nuovo romanzo “Dolore” (Feltrinelli)
Pordenone, 17-09-2016 SHALEV Zeruya, writer © BASSO CANNARSA
Pordenone, 17-09-2016 SHALEV Zeruya, writer © BASSO CANNARSA

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

Che il suo mestiere non sarebbe stato quello di psicoterapeuta, lo ha capito in fretta. Perché Zeruya Shalev scoppiava a piangere davanti al dolore di chi avrebbe dovuto consolare, consigliare. Così, la scrittrice israeliana nata nel Kibbutz Kinneret ha scelto di scandagliare l’anima umana in un altro modo. Inventando storie, portando a galla i sentimenti profondi dei suoi personaggi. Trasformandosi, insomma, in un’archeologa del subconscio.

Da anni, chi ama i libri non si perde un romanzo di Zeruya Shalev. E a ogni nuova uscita si rinnova il piacere di scoprire una scrittura brillante, profonda, sensuale, piena di inventiva eppure sensibilissima ai contrappunti dell’anima. Confermata in pieno da “Dolore”, il romanzo tradotto da Elena Loewenthal per Feltrinelli (pagg. 286, euro 18), che arriva in Italia tre anni dopo lo splendido “Quel che resta della vita”, vincitore del Prix Femina Étranger e del Roma.

Al centro del romanzo c’è Iris, 45 anni, che porta impresse nel corpo le ferite subite in un terribile attentato terroristico. Lei, mamma di due bambini, si trovava a passare di lì per caso mentre li accompagnava a scuola. Sopravvissuta per puro caso, deve abituarsi a convivere con il dolore che le strazia il corpo e l’anima. Fino a quando Michi, il marito, le consiglia di rivolgersi a uno specialista. Un medico che altri non è che Eitan, il suo grande amore di ragazza. Sparito senza dare spiegazioni e capace di spaccarle il cuore.

Adesso, quella storia d’amore potrebbe ricominciare. Come se non fosse mai finita. Ma Iris si troverà a dover decidere se seguire la passione e lasciare la sua famiglia o dedicarsi alla figlia Alma, pericolosamente ammaliata dall’oscura personalità di Boaz. Il suo datore di lavoro, infatti, si rivelerà un abile manipolatore di anime.

«L’idea di scrivere “Dolore” mi è venuta - racconta Zeruya Shalev - quando ho capito che la gente è più affascinata dal passato che dal futuro. A una certa età, anche per certe persone non ancora vecchie, diventano un’attrazione irresistibile i ricordi, le cose di un tempo. Per questo ho deciso di raccontare un incontro veramente drammatico con il passato: quello di una donna che ritrova il primo amore dopo tanto tempo. Il problema è che lui l’ha lasciata facendole sanguinare il cuore».

Dicono di lei: è l’archeologa dell’anima. Si riconosce?

«Sì, mi riconosco. Perché tentare di capire l’anima umana mi sembra la questione più interessante al mondo. Provo sempre a mettere a fuoco le mie emozioni, e quelle degli altri, senza fare sconti».

Il personaggio di Iris è un po’ un simbolo delle donne israeliane?

«Mentre scrivevo, non pensavo a lei come un simbolo. Però l’idea mi piace. Sì, posso dire che Iris è una vittima di quella realtà violenta che sta diventando molto familiare anche all’Europa. Perché mentre le persone accompagnano i figli a scuola, un attacco terroristico può cambiare completamente la loro vita».

Il personaggio di Boaz ricorda il “serial guru” israeliano Goel Ratzon...

«Il terribile Goel Ratzon è stato un guru molto più “professionale” del mio personaggio. Ho letto molte storie su di lui. E mi sono interrogata a fondo soprattutto sulle sue vittime. Giovani donne intelligenti che accettavano di essere controllate e umiliate senza ribellarsi. Mi sono chiesta soprattutto che tipo di amore fosse quello. Quando Iris capisce che la figlia Alma si è fatta coinvolgere da Boaz, corre in suo soccorso. Però, al tempo stesso, deve fare i conti con se stessa. E guardare da una prospettiva diversa il suo amore giovanile che sta riprendendo forma».

Cambieranno mai le cose tra israeliani e palestinesi?

«Il nostro compito è di chiedere al governo che faccia l’impossibile per arrivare alla pace. Ma non so se quello che sto dicendo sia realistico, perché il futuro non dipende solo da noi scrittori. Però sono sicura che dobbiamo fare ogni tentativo possibile per dare una speranza a chi vuole vivere in pace. Siano israeliani o palestinesi».

Difficile fare gli scrittori in un Paese come il suo?

«Scrivere in un Paese che è di continuo sotto attacco non è facile. Soprattutto per una persona come me, che vorrebbe concentrarsi sul racconto delle emozioni più profonde. In ogni caso, devo trovare un eqilibrio tra il mio mondo di scrittrice, di mamma, di chi deve viaggiare per promuovere i propri libri con incontri e interviste».

Zeruya mamma e scrittrice convivono bene?

«Mi piace molto essere mamma, anche se toglie un po’ di tempo alla scrittura. Ma accetto tutti gli impegni con amore».

Era una bambina che sognava di diventare scrittrice?

«Ho iniziato a comporre poesie e piccole storie quando avevo sei anni. Sono cresciuta scrivendo. Quindi per me diventare un’autrice di romanzi è stata la cosa più naturale del mondo, come respirare. Non era un sogno, ma la realtà».

Però, poi, voleva seguire un’altra via...

«Il vero sogno era quello di diventare psicoterapeuta. Ma ho incontrato delle difficoltà notevoli quando ho provato a esercitare questa professione nell’esercito. Mi sono scoperta troppo sensibile. Mi mettevo a piangere nel bel mezzo di un incontro in cui avrei dovuto trovare le parole per incoraggiare certe persone. Così, al momento del congedo, ho deciso che nella mia vita avrei avuto a che fare solo con personaggi letterari».

Tre scrittori che ama?

«Adoro Virginia Woolf e le splendide scrittrici italiane Elsa Morante e Natalia Ginzburg».

Libri, libri e poi?

«Sfortunatamente non ho molto tempo per coltivare altri hobby. Mi piace tantissimo leggere e chiacchierare con i miei figli».

alemezlo

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