Wulf Dorn: «Ho sfiorato la morte la presenza oscura del mio libro»



Nikka ha sedici anni ed è già stata morta per ventuno minuti. È successo a una festa e in quei ventuno minuti, mentre qualcuno si affannava attorno al suo corpo, la sua mente ha viaggiato in un luogo spaventoso che vorrebbe dimenticare e spera di aver solo immaginato. Ma non può, perché quando ritorna tra i vivi scopre che nel frattempo Zoe, la sua migliore amica che era in quella discoteca con lei, è sparita. Deve ritrovarla, cercare oltre ciò che la spaventa, abbandonandosi al pericoloso istinto, chiedendosi continuamente se ciò che percepisce sia dentro od oltre una ragione scientifica, impavida fin quasi alla follia. Wulf Dorn, tedesco del 1969, per molti anni logopedista in una clinica psichiatrica, è diventato famoso con “La psichiatra”, ma ha pubblicato anche “Il superstite”, “Il mio cuore cattivo”, “Phobia”. Domani alle 15 presenterà in anteprima a Pordenonelegge il suo nuovo libro “Presenza oscura” (Corbaccio, 426 pagine, euro 19,50), in dialogo con Luca Crovi.

Signor Dorn, può raccontarci perché ha scelto quello che Shakespeare chiama il “se” dopo la morte come argomento di questo suo libro?

«Come è accaduto per la maggior parte delle mie storie anche l’idea di questo romanzo si fonda su un background personale. Penso che sia nella natura umana cercare di evitare il pensiero della morte, ma prima o poi arriva il momento in cui ognuno di noi si trova di fronte alla sua mortalità. Nel mio caso è accaduto alcuni anni fa dopo quello che in realtà era un semplice intervento al menisco. Ho avuto una trombosi e il mio dottore l’ha scoperta all’ultimo momento.

Mi ha salvato la vita. Allora ho capito per la prima volta, come tutto possa finire velocemente. Per quanto scioccante, questa consapevolezza ha avuto un impatto positivo sulla mia vita. Ora sono più cosciente di quanto ogni giorno sia prezioso. Non sappiamo quanto tempo ci rimane, quindi cerchiamo di usarlo al meglio. Questo è quello che volevo mostrare con “Presenza oscura”. La storia in sè può essere un po’ dark e fare paura, ma il messaggio è completamente positivo».

Quanta influenza ha avuto sui suoi libri il lavoro che ha svolto prima di dedicarsi alla scrittura?

«Nei mei vent’anni di lavoro psichiatrico ho imparato molto sulla percezione soggettiva. Per fare un esempio: ho avuto una paziente che aveva conversazioni quotidiane con sua madre. Niente di strano, direte, ma sua madre era morta da tempo. Beh, per questa donna lei era ancora lì in qualche modo, ma si direbbe impossibile. E noi tutti, compresa quella donna, insisteremmo che la nostra prospettiva è quella che corrisponde alla realtà. Dunque chi sarebbe nel giusto? Chi può provare per certo cos’è reale e cosa non lo è? Questa domanda ha decisamente avuto un impatto sulla mia scrittura. Nella maggior parte dei miei libri e dei miei racconti metto in discussione la definizione di realtà».

Infatti il suo lavoro è sempre sul confine tra ciò che definiamo “reale” e ciò che non sappiamo come definire. Quanto è importante la capacità di cambiare prospettiva?

«Penso che dovremmo sempre mantenere una mente aperta e guardare alle cose da diversi punti di vista. La storia umana è anche una storia di apprendimento permanente. Anni fa era standard considerare che avessimo cinque sensi, ma oggi sappiamo che ce ne sono più di venti. Era anche pensiero comune che usassimo solo un decimo del nostro cervello, in realtà lo usiamo tutto, anche se naturalmente non tutto insieme, visto che ogni area ricopre una funzione specifica. E sono passati solo cinquant’anni da quando dei dottori promuovevano le “sigarette sane”. Oggi pare una follia, ma al tempo la gente ci credeva. Quindi non dobbiamo mai smettere di porci domande. Chi sa cosa scopriremo in futuro?».

Su che cosa sta lavorando al momento?

«Spero che i miei lettori saranno felici di sapere che sto passando un sacco di tempo con Mark Behrendt a Fahlenberg. Perché la storia di “La psichiatra” non è ancora stata completamente raccontata».



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