Wissal Houbabi: «La poesia attira è un campo di sperimentazione»

Appoggia lo smartphone al leggio, si avvicina al microfono e comincia a leggere. È un fiume in piena Wissal Houbabi, minuta, con i capelli nerissimi raccolti e la voce sicura di chi sa stare su un palco e conquistare il pubblico all’ascolto. Legge un suo testo che s’intitola “Che ne sarà dei biscotti” e che racconta molto di lei che si sentiva turista in Marocco e poi si è sentita straniera in Italia. «Nella loro diversità e semplicità i biscotti sono per me imprescindibili, totalmente immuni da ogni pregiudizio, sono pacifici, e ti sorridono al mattino; sono economici e, adesso lo sappiamo, quando sono fatti in casa possono parlare di ospitalità, affetto, accoglienza e cura».
Nata a Khouribga nel 1994, è arrivata a Trieste per studiare Lingue e letterature straniere dopo aver vissuto in Umbria, a Verona, Venezia e Trento. Usa anche lo pseudonimo Wii e si definisce un’attivista transfemminista, si interessa di arte e letteratura, in particolare di cultura hip hop e poesia, e lo scorso settembre ha vinto a Milano il poetry slam organizzato dal settimanale Io Donna. Ha scritto articoli per Jacobin Italia, Agenzia X e MoodMagazine e partecipato a eventi come il Salone del Libro e Chromopolis. Il 6 marzo sarà impegnata in un laboratorio di hip hop e pedagogia a Milano, il 9 marzo a Trieste con Sergia Adamo parlerà di letteratura e afrodiscendenza, e poi ancora eventi in giro per l’Italia fino al reading multimediale “Che razza di rap” a Torino. È una tendenza o i giovani sembrano aver riscoperto la poesia? «Non si tratta di una questione generazionale - risponde - dice Wissal Houbabi - oggi la poesia riemerge attraverso nuovi media, i giovani ne sono attratti perché si presenta sotto vesti più contemporanee, la poesia è un campo di sperimentazione e fa della sua versatilità la caratteristica più stimolante». «In tutta Italia - continua - quell’idea così grigia di poesia da banchi di scuola si è trasformata ormai in qualcosa di innovativo. Il poetry slam è una pratica che avvicina alla poesia, permette di mettere in gioco le penne, le voci e il corpo. Da lì nascono veri e propri spettacoli, ricerche, sperimentazioni, collettivi, spettacoli, collaborazioni. Spuntano scuole e aprono spazi, ci si incontra ai grandi festival e ci si sfida a premi di poesia». E a Trieste com’è la situazione artistica? «Trieste non è la mia città - precisa Wissal - gli spunti maggiori sono dovuta andarmeli a cercare fuori, prima di fondare il collettivo ZufZone non avrei mai pensato di riuscire a condividere le mie passioni qui. Quello che penalizza Trieste è sicuramente la marginalità geografica che la rende molto isolata rispetto a ciò che accade nel resto d’Italia. I giovani se ne vanno perché non possono concretizzare le loro passioni e c’è una mancanza di spazi di espressione. Noto una mentalità poco propensa a dar spazio a qualcosa di nuovo: un carente investimento sulla cultura che va dai musei – sono un’operatrice museale e so in che condizioni viene gestito il sistema dei musei – ai regolamenti che limitano molto gli eventi in città – vedi il regolamento movida. Tutto ciò limita la produzione artistica o la riduce a hobby, chi intende fare arte nella propria vita cerca di farlo altrove ed è frustrante».
Wissal Houbabi è tra i fondatori di ZufZone, un collettivo di giovani che a Trieste organizza eventi di poesia performativa grazie anche alla cooperativa La Collina: ogni mese un tema con appuntamenti che vanno dalla musica all’arte visiva. Un tema importante da affrontare per lei è l’afrodiscendenza in Italia. Lei che fin da piccola ha dovuto lottare per trovare il suo posto nel mondo, che si è sentita schiacciata in una terra di nessuno in cui faceva difficoltà a definire la sua identità. Questo a causa del fatto che mancavano i modelli. «Ci chiamano figlie di seconda generazione dei migranti - riprende Wissal - ma preferiamo definirci “Future” come l’antologia curata da Igiaba Scego e pubblicata da Effequ. Essere figlia della migrazione implica una certa responsabilità: per questa nostra generazione è evidente che essere italiana non è più rappresentato da ciò che dice la legge ma chi è figlio di immigrati continua a essere trattato da estraneo, escluso, straniero». «La poesia e le arti - aggiunge - possono aiutare a cambiare le cose, a superare il razzismo sociale e istituzionale, a evitare la crisi di identità». “Che razza di rap” nasce dalla collaborazione di Wissal con l’esperto di cultura hip hop u. net e vuole raccontare i figli di immigrati in chiave artistica, è un reading multimediale che mescola musica, immagini e testi. Il dibattito sulla letteratura a Trieste può essere arricchito dall’apporto di un’artista come lei: «In città c’è un forte legame con la storia letteraria e tante sono le iniziative ma purtroppo restano un privilegio per chi può permetterselo». —
Riproduzione riservata © Il Piccolo