Willem Dafoe: «Ho vissuto l’ultimo giorno di Pasolini»

Divide il film di Abel Ferrara dedicato al poeta friulano
Di Beatrice Fiorentino
US actor/cast member Willem Dafoe (L) with his wife Italian director Giada Colagrande, arrive for the premiere of 'Pasolini', during the 71st annual Venice Film Festival at the Lido in Venice, Italy, 04 September 2014. The movie is presented in official competition selection Venezia 71 at the festival running from 27 August to 06 September. ANSA/CLAUDIO ONORATI
US actor/cast member Willem Dafoe (L) with his wife Italian director Giada Colagrande, arrive for the premiere of 'Pasolini', during the 71st annual Venice Film Festival at the Lido in Venice, Italy, 04 September 2014. The movie is presented in official competition selection Venezia 71 at the festival running from 27 August to 06 September. ANSA/CLAUDIO ONORATI

VENEZIA. Dimenticate il look trasandato di un tempo e la parlata biascicata, perché oggi Abel Ferrara è una persona nuova. Di un'eleganza informale, sorride e si presenta al Lido sobrio e lucidissimo, bottiglietta d'acqua alla mano. Finalmente libero dai fantasmi delle "addictions", Ferrara affronta una nuova tappa della vita mettendo in cantiere film importanti. "Pasolini", in concorso a Venezia, ma anche "Abel's Grandfather", nuova pellicola ancora in lavorazione dedicata a suo nonno, partito da Sarni alla volta della California in cerca di fortuna.

A Venezia il suo "Pasolini" divide il giudizio della critica, chi lo applaude lo fa con slancio, intravedendo la possibilità di vederlo sul palco con il Leone d'Oro, mentre i detrattori restano spiazzati da un'opera niente affatto scontata urlando al tradimento intellettuale.

Visionario, poetico, il film del regista newyorchese del Bronx ha un respiro altissimo. Mettendo in scena l'ultima giornata di vita di Pasolini si concede molte libertà perché ciò che conta, per lui, non è offrire una ricostruzione minuziosa di ciò che il poeta ha fatto in quel lasso di tempo, quanto piuttosto restituire l'immagine organica di un grande intellettuale.

Realizzare un film su Pasolini è di per sé tra le operazioni più rischiose che un autore possa decidere di affrontare, e Ferrara lo fa di petto, sviluppando l'idea nel modo più radicale e audace possibile. Ciò che interessa a Ferrara non è un resoconto dei fatti. Vediamo lo scrittore giocare a calcio con i ragazzi di borgata, e a nessuno importa che lo abbia fatto anche quel fatidico 2 novembre 1975, è irrilevante. La sua stessa morte, non ha importanza che sia avvenuta per mano di Pelosi o in seguito a un complotto ai suoi danni, è puro dolore per la perdita. Non conta tanto stabilire come sia morto Pasolini quanto parlare della sua vita, della grandezza del suo pensiero, del valore della sua opera e della sua persona.

«Una cosa è vedere i suoi film, leggere i suoi libri e le sue poesie - racconta Ferrara - un'altra è incontrare le persone che gli sono state vicino, che hanno lavorato con lui e lo hanno veramente amato. Ho fatto molte domande e da chiunque lo abbia incontrato non ho mai sentito una parola negativa sul suo conto. Era la persona più mite e gentile del mondo, sul set era tutto ciò che io vorrei essere».

Tra le critiche che gli vengono mosse quella aver messo in scena la sequenza della morte di Pasolini, senza fare rivelazioni né congetture. Il regista parla chiaro: «Non vogliamo provare chi ha ucciso Pasolini - dice -. La scena finale è il risultato drammatico, la fine della storia a cui siamo arrivati. Quel che è successo è successo».

Ninetto Davoli è tra i più entusiasti sostenitori del film: «Il racconto di Abel è cinema, bisogna uscire dalle righe e liberare l'immaginazione», e se la prende quando un giornalista avanza inopportunamente l'idea di cambiare titolo in qualcosa che suoni simile a "L'ultima notte". «L'ultima notte? Aò, ma che vo'r dì?» lo chiosa Davoli in perfetto romanesco, sostenuto da applausi scroscianti.

Nei panni dello scrittore friulano c'è uno straordinario Willem Dafoe, impressionante per somiglianza. «Ho cominciato a conoscere Pasolini intorno ai vent'anni vedendo i suoi film, poi ho approfondito meglio quando sono venuto a vivere in Italia, leggendo i suoi scritti e la sua poesia. Quando abbiamo deciso di girare questo film mi sono immerso in tutto quello che Pasolini era e rappresentava. Ho provato sentimenti molto forti e complessi. Non si è trattato di una rappresentazione o un’interpretazione, ho cercato proprio di abitare quelle azioni, quei momenti, le sue giornate, le sue riflessioni».

Molto emozionata Adriana Asti, grande amica del poeta (aveva recitato anche in "Accattone") che qui interpreta il ruolo della madre. «Inizialmente non volevo fare questo film, temevo di sentirmi troppo coinvolta. Poi quando ho visto Willem mi sono convinta, era uguale a lui! Così sono diventata sua madre».

C'è grande ammirazione nelle parole di Ferrara, mentre parla di Pasolini. Quando gli si chiede quali possano essere i loro punti in comune, si affretta a mettere in chiaro: «Io sono cresciuto guardando i suoi film, lui non è cresciuto guardando i miei. Sono buddista e il buddismo insegna che si medita sul proprio maestro. Non si tratta di un confronto tra me e lui, io ho seguito il suo lavoro e facendo questo film mi sono permesso di avvicinarmi ancora di più». Perché non fare un classico biopic? Perché non raccontare la vita di Pasolini nell'arco dei suoi 53 anni in maniera lineare? Perché Ferrara è un maestro di cinema e non un biografo. E anche perché un'esistenza si può raccontare in molti modi, sintetizzando una vita in un giorno. Perché, parafrasando Rainer Werner Fassbinder, un'altra esistenza bruciata molto in fretta, “un giorno è un anno è una vita”. E domani, finalmente, sarà tempo di toto-leoni.

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