Vittorio Di Pinto, dalla Crimea alla storica bancarella di libri a Trieste
Vittorio, detto Toio, è l’ultimo dei “bouquinistes” del ghetto. Una storia, quella della sua famiglia, che copre un arco di settant’anni, durante i quali Vittorio è stato sempre là, sulla strada
TRIESTE La storia di Vittorio e della famiglia Di Pinto copre un arco di settant’anni, durante i quali Vittorio è stato sempre là, sulla strada. La sua vicenda è stata d’ispirazione per l’intera raccolta del libro che verrà.
Vittorio Di Pinto, per tutti Toio, è nato nel 1934 del secolo scorso a Kerč', città portuale sullo stretto che unisce il Mar Nero e il Mar d’Azov. Nella stessa Crimea oggi nota per le vicende belliche. Di professione venditore ambulante, con postazione fissa in via del Rosario, là dal 1952. Rare le assenze motivate da viaggi, da breve ospitalità ospedaliera superata con disinvoltura, oppure da avverse condizioni atmosferiche. Ha sempre rifiutato di rinchiudersi in un luogo con porte e infissi. La moglie Adele e i figli Laura e Claudio operano invece nel negozio vicino in largo Granatieri, “La rigatteria”.
Carlo Cerne, socio e successore di Umberto Saba nell’omonima libreria usava per lui il soprannome “il russo”, che Toio non ha mai gradito, forse perché sapeva il russo, lo parlava col papà, poi lo ha dimenticato. Qualcuno coniò: el zoto per gli evidenti esiti di una malattia infantile che peraltro non gli ha impedito di correre nel momento del bisogno, come chi avrà la pazienza di leggere, vedrà.
Le sue bancarelle sono un luogo di ritrovo molto frequentato. I clienti si fermano anche solo per un saluto. Agli inizi dell’attività i banchi erano carri con ruote, portati fuori il mattino e ritirati in magazzino ogni sera, con l’aiuto di amici e conoscenti. Toio non mancava di ringraziarli offrendo il brindisi serale alla vicina Trattoria Tevere, oggi scomparsa, dove a metà mattino si serviva un buonissimo prosciutto cotto in crosta di pane, grasso e per questo con un sapore squisito, che non si ritrova nei prosciutti odierni, secchi.
Nel paese dello zar
La famiglia Di Pinto era arrivata a Trieste dalla Crimea nel 1938. Facevano parte della colonia pugliese giunta a metà ‘800, sollecitata da emissari dello Zar per reclutare agricoltori e artigiani. A fine Ottocento la comunità contava qualche migliaio di persone, perlopiù nelle città costiere, molti proprio a Kerč’. Nel 1920 gran parte dei cittadini erano registrati come “sudditi del Regno d’Italia”, perché gli italiani mantenevano con orgoglio la propria cittadinanza, rifiutando quella russa. Il bisnonno di Vittorio era emigrato nel 1860 dopo la guerra di Crimea, suo padre era nato lì nel 1906. Erano bravi e intraprendenti, e integrati nella vita sociale ed economica.
Il padre di Toio coordinava le attività di un Kolchoz, la proprietà agricola collettiva russa istituita da Lenin, garantendo il benessere alla famiglia. Nel 1938, in pieno stalinismo, con sole due settimane di preavviso, giunse l’ordine di diventare russi o partire. L’opposizione di sua madre (il padre era propenso a restare) fu la salvezza della famiglia, gran parte degli italiani che accettarono la cittadinanza russa furono poi accusati di essere contadini ricchi o di essere collaborazionisti. Subirono la deportazione e molti morirono in condizioni disumane, deportati senza cibo né acqua su carri bestiame.
Colonia pugliese
I Di Pinto si fermarono a Trieste perché era la prima stazione italiana e vi si erano già trasferiti altri. Abitavano in Corso Littorio, oggi via del Teatro romano. Vittorio frequentava la scuola Venezian, quando a dodici anni manifestò i segni di una malattia all’anca. La cura prevedeva al tempo la trazione dell’arto. Toio sopportò i disagi della cura per un anno a Trieste, senza risultato, e fu indirizzato poi all’ospedale del Lido di Venezia, dai padri Camilliani. Vi trascorse altri due anni e, costretto a letto in trazione, divorò i libri della biblioteca, passatempo che si rivelerà premonitore.
Infine, l’incontro con il primario dell’ospedale di Venezia, consulente dei Camilliani. Il medico era caratterizzato da una grande prosopopea, come tutti i primari di quegli anni (alcuni ancor oggi) e visitava i pazienti seguito dal solito codazzo (cui molti sono ancora affezionati, incuranti della comicità teatrale del “giro”). Avvicinatosi al giovane paziente, reduce da tre anni di trazione e da un intervento chirurgico, gli disse con fare sicuro: “Caro Vittorio, mi pare che dovremo affrontare un nuovo intervento, che dovrebbe essere risolutivo”, Toio replicò con l’immediatezza propria degli adolescenti “sì, ma no a mi, se la vol taiar una gamba, qua la ga quela del leto! A mi no la me opererà mai più, nianche per idea, la vadi via de qua!” Toio oggi ricorda ancora il dottor De Marchi, “quel che vigniva del ospedal a farse i bori al Lido”. Si spiega così perché Toio sia oggi paziente alla sua postazione tra i banchi! Anni di immobilità a letto e terapie improbabili, lo hanno reso un ragazzo solido! Si trova bene all’aperto, ancorato al suo trespolo e riesce ad addormentarsi in qualsiasi posizione.
Nel 1952, Toio, conclusasi la vicenda ospedaliera, tornò a Trieste, dove il nonno Giovanni fuggito anche lui dalla Crimea, gestiva in affitto una bancarella, nella stessa posizione in cui è oggi, e dove lui, giovane e pieno di iniziativa lo sostituì presto. Non tutti gli ambulanti della via vendevano libri e pochi erano di qualità. Molti si dedicavano a generi più popolari, gialli o romanzi d’amore. Su tutti, emergevano per le loro capacità Vittorio e Pino Ban. Pino era esperto conoscitore dei libri e dei dischi, che al tempo erano uno degli articoli più trattati nelle bancherelle: 78 giri, opere e musica classica. Ma Pino amava bere. Troppo. Finì la propria carriera in modo drammatico. Fu trovato morto, ucciso in magazzino. Avvenne durante una lite fra ubriachi, con un avventore noto, poi arrestato. L’arma dell’omicidio fu identificata nel tacco di una scarpa. Il fatto riempì le cronache dei quotidiani di allora.
Uno strano mestiere
Il mestiere di Toio è strano e certamente vario, richiede attitudini multiple: capacità di dialogo, chiarezza di idee, flessibilità, conoscenze, apprendimento dai propri errori. Sembra difficile al profano orientarsi fra le migliaia di tipologie di libri, vecchi e nuovi, disponibili sul mercato. Se chiedete a Vittorio come fa a valutarli, vi risponderà che non lo sa, ma io penso che non sia vero. Credo che lo sappia benissimo e che abbia anche trasferito la capacità alla figlia Laura. Quando prende in mano un libro per stabilirne il valore, che poi si traduce nel numero che scriverà rigorosamente a matita sull’ultima pagina, registra in un attimo autore, edizione, rilegatura, stato, mercato, ultimo libro analogo venduto, eventuale cliente interessato. Se non lo conosce, si fida molto dell’editore e della collana, ma ancor di più della propria sensibilità alla qualità della carta, rilegatura, stampa. Forte della sua esperienza ha perfezionato questa valutazione e mentre i concorrenti soppesavano ogni copia, la rigiravano e sfogliavano alla ricerca di chissà cosa, Toio rispondeva in un attimo e, quando il mercato era molto vivace, mentre gli altri trattavano un libro, egli ne acquistava venti!
Gli habituè
Nella sua attività Vittorio ha acquistato libri rari e di pregio, presenti in biblioteche cedute in blocco, abitualmente dagli eredi del collezionista, a volte da essi stessi. Toio ha creato un rapporto di stima e collaborazione con alcuni dei suoi clienti appassionati bibliofili. Alcuni furono figure note in città e ne hanno fatto la storia. L’avvocato Cesare Pagnini, Podestà del periodo difficile dell’occupazione nazista di Trieste, discusso, amato e avversato, ma apprezzato quale persona di cultura e di stile. Italico Stener, dentista muggesano di professione, politico per passione e scrittore per vocazione, come amava definirsi. Esperto cultore di storia locale, in particolare della sua Muggia, passione che ha trasmesso assieme ai propri libri ai suoi quattro figli, specie a Marco. Il cliente più costante, appassionato e competente è stato Giovanni Radossi, fondatore e direttore del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, istituzione della Comunità Nazionale Italiana d’Istria, che ha saputo imporsi come centro di documentazione sulla storia dell’Istria con un patrimonio eccezionale: più di 100.000 volumi, un’invidiabile collezione di stampe, una produzione scientifica e l’aggiornamento di un archivio in gran parte consultabile on-line.
A fronte del rapporto di fiducia speciale con i clienti appassionati, come in tutte le librerie, anche sui banchi ci sono stati furti. Alcuni casi sono rimasti impressi nella memoria, perché opera di clienti abituali, persone considerate “di fiducia” e spesso noti e affermati professionisti cittadini.
Gli episodi sono numerosi, alcuni esilaranti. Un cliente appassionato di storia locale (malattia diffusa in città) acquistava riviste e vi inseriva, di nascosto, cartoline prese dal banco. Accortasi dei furti, al momento del pagamento, un giorno Adele, moglie di Toio gli disse “questo per la rivista, adesso vediamo quanto per le cartoline…”. Scoperto platealmente, il cliente stramazzò al suolo, colto da collasso, fu necessario chiamare il pronto intervento e portarlo in ospedale. Dopo un paio d’anni passò a scusarsi.
Il figlio Claudio, in età da calciatore ben allenato, alzò da terra un cliente colto in flagrante e lo rovesciò sul cofano della macchina della polizia, che stava passando in quel momento, esclamando: “ecco proprio giusto che se qua, el xe tuto vostro, el ruba!”. Il vicino poeta e rigattiere Tullio Bassi, che possedeva un cane boxer di aspetto poco rassicurante, fu di aiuto quando un giovane ladruncolo, sorpreso, si rifugiò nell’androna accanto alla chiesa. Su richiesta di Toio, Tullio lasciò libero il cane verso il giovane, e pare che questi se la sia fatta letteralmente in braghe.
Ladro di cassette
Un altro era sospettato di intascare cassette di musica, all’epoca ricercatissime. Toio chiese aiuto all’amico Bruno, alto 2 metri, con spalle quadrate da lottatore: “A mi me par che el ruba, mi me allontano, ti fa finta de niente, ma tienlo de ocio”. Bruno confermò a Toio: “Te ga ragion, el se meti le cassette nelle manighe”. Alla richiesta di Toio il ladro negò con forza e allora Bruno, pacifico ma deciso, lo sollevò di peso, lo scosse e provocò una cascata di cassette! Si qualificano come furti anche gli espedienti di alcuni che cancellano con la gomma e riscrivono il prezzo, segnato a matita da Toio, secondo la loro personale valutazione, sempre significativamente più bassa. Altri invece modificano il prezzo dopo l’acquisto regolare, per evitare discussioni in famiglia. Toio ricorda bene un cliente che acquistava, pagava e poi chiedeva la cancellina per togliere uno zero al prezzo, solo così la sua compagna di vita, non lettrice, tollerava questa strana mania. Al costo del 10%.
Poi c’è il versante acquisti. È frequente che sconosciuti gli propongano l’acquisto di libri. Oggi Vittorio di solito risponde: “No, non mi interessa” senza nemmeno chiedere di che cosa si tratti. Perché, data l’esperienza, sa se conviene approfondire o no. E non conviene approfondire quasi mai. La maggior parte delle offerte riguarda sempre romanzi di cui è ben fornito o resti ereditati invendibili. In passato, quando i banchi erano numerosi, c’era competizione fra i venditori del ghetto, per acquistare partite importanti, eredità intere. E Toio ha spesso partecipato, qualche volta tenendo per sé solo i libri e cedendo ad altri gli arredi. La sua vasta competenza, estesa non solo al campo librario, ma anche su stampe, libri rari, dipinti gli ha permesso di trovare rarità pregiate e ottimi affari. Un aspetto sgradevole del commercio è la possibilità che gli oggetti o i libri provengano da furti o truffe. Nella sua pluridecennale attività ha avuto una sola disavventura giudiziaria per aver acquistato delle enciclopedie da un privato cittadino. Fu denunciato per incauto acquisto, perché erano state acquistate a rate e subito vendute. Vittorio sottovalutò l’accaduto, sapendo di non aver agito in malafede e non si rivolse ad un legale. Ancora oggi Toio ricorda la vicenda con fastidio, ingiustamente accusato, anche se fu assolto.
Le sparatorie
Cesare Musatti diceva: “Prova a girare attorno ad un lampione ogni sera alle 6, vedrai, prima o poi qualche cosa ti accade.” E in due occasioni recenti è stato al centro di sparatorie vere. Originate dalla vicina Questura. La prima volta un tale sparò all’impazzata fino a rivolgere l’arma verso se stesso. La più recente, drammatica, è nella memoria di tutti, la sparatoria seguita all’assassinio di due poliziotti della Questura. In entrambi i casi Toio si è rifugiato in un locale vicino, con insospettabile agilità e velocità, nonostante l’età e gambe non proprio da atleta. C’è chi giura di averlo visto correre!
Le bancherelle di Vittorio Di Pinto da Kerč non sono un’attività stagnante, né fossilizzata. Interagiscono con la vivace appendice online gestita da uno dei nipoti, Davide e con la Rigatteria, il negozio dei figli Laura e Claudio, in Largo Granatieri. Il negozio è accogliente e di gran fascino. È un labirinto di stretti passaggi tra scaffali, banchi, vetrine. Ospita le merci più varie: libri d’occasione, rari e introvabili, quadri di sconosciuti e quadri d’autore, stampe, mobili di pregio e tutto ciò che è possibile ritrovare negli sgomberi degli appartamenti privati. Il negozio è meta di curiosità o di esplorazione alla ricerca di arredi o regali.
Il dialogo tra i familiari in occasione di acquisti di partite di libri, ancor oggi un perno dell’attività, rivela sorprendenti sintesi di valutazione: “scovaze, ciogo mi, xe per ti, no tiente, Davide meti in rete”, e in finale “bon tien ti Toio”. Il capostipite, che ha trasmesso il mestiere a tutti, sorride, felice di essere superato come solo i veri Maestri sanno fare. Ma molti non sanno che la Rigatteria e i banchi di Toio sono della stessa famiglia e capita che altri confidino ai suoi figli: “adesso che vendete voi i libri, darete fastidio al vecio zoto!” oppure “ghe brusa a quel vecio antipatico delle bancherelle, adesso che se voi qua!”. La risposta divertita dei figli di Vittorio: “Chi, mio papà?” suscita gelo o risata. Dipende. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo