Vita, viaggi e avventure di Romolo Gessi il Garibaldi d’Africa che approdò a Trieste

la recensione
Il Pascià abitava a Trieste, al numero 9 di via Brunner. Era là che tornava dopo ogni viaggio in Africa, nella casa che divideva con la moglie Maria, violinista armena, e il figlio Felice. Dici oggi Romolo Gessi e pensi a una via di Campo Marzio, ma verso la fine di un Ottocento in inquieto movimento Gessi era una star. E che vita straordinaria, la sua. Nato per caso su una barca in mezzo al mare, cresciuto a Istanbul, emigrato a Trieste, seguace di Garibaldi nella seconda guerra di indipendenza e poi tanta Africa. Una vita breve, interrotta a cinquant’anni in Egitto, dove era andato una prima volta a esplorare le sorgenti del Nilo, e poi vi era tornato per conto del Kedivè con lo scopo di interrompere il commercio di schiavi che un signorotto del Sud Sudan continuava a praticare nonostante l’abolizione dello schiavismo. Diventerà così per tutti il Garibaldi d’Africa. All’apice del successo, Gessi godeva di un doppio prestigio. Quello di essere il flagello degli schiavisti e quello che ammantava i grandi esploratori. Le loro spedizioni nei territori sconosciuti dell’Africa nera, tra mercanti di schiavi e di avorio, agguati delle tribù indigene e una natura ostile, selvaggia e meravigliosa, erano oggetto di ammirazione da parte degli europei che leggevano sulle gazzette, al riparo dei caffè, di quelle lontane e ardimentose imprese. Mestiere, vocazione, necessità o solo un sogno di disadattati, pericoloso e spesso interrotto dalla morte per malattia o per una mano assassina, quello degli esploratori, a volte smarriti per sempre nel verde abbacinante delle foreste pluviali o nei deserti polverosi cosparsi di ossa di animali.
Come tanti esploratori, Gessi è morto in Africa, ma a Trieste sono rimasti i suoi discendenti. Il figlio Felice, dopo aver partecipato a sua volta a una spedizione, si era distinto tra gli assi dell’aviazione nella Prima guerra mondiale, cui aveva preso parte anche il figlio di Felice, Giorgio. La dinastia dei Gessi prosegue poi con Remo, giornalista sportivo da poco scomparso, e infine con Romolo, omonimo dell’esploratore, musicista, direttore d’orchestra e docente al Conservatorio giuliano: «È stato scritto molto sul mio avo», dice il maestro Romolo Gessi. «Dopo la sua morte la famiglia è rimasta a Trieste e noi discendenti teniamo a tramandare la sua memoria. Apprezzo l’ultimo libro su di lui».
È infatti appena uscito “Il Pascià” (Utet, 188 pagg., 17 euro), di cui è autore l’inviato de ‘La Stampa’ Domenico Quirico, che ha ripercorso l’avventurosa vita di Gessi facendo un parallelo tra l’Africa di allora e quella, che il giornalista ben conosce, di oggi. La tratta degli schiavi che aveva svuotato il continente e alimentava il commercio di uomini verso le Americhe e i mercati arabi e ottomani si è mutata in quella di oggi. Sono i migranti gli schiavi del nuovo millennio, che vengono passati di mano in mano dalle bande criminali nel loro penoso cammino verso le coste del Mediterraneo. Quirico va a rileggere il diario di Gessi, ‘Sette anni nel Sud Sudan’, pagine di straordinaria curiosità osservatrice, umana e scientifica, e guarda con ammirazione a questo uomo che lottò contro la tratta araba nelle terre lungo l’alto Nilo. Gessi, scrive Quirico, era convinto di compiere qualcosa di grande e di degno, anche se non gli sfuggiva che dietro lo sforzo di liberare quei dannati ridotti a merce c’erano le mire dei colonialisti britannici. L’animo libertario di Gessi, che a differenza di altri esploratori come Bottego (una specie di Cecil Rhodes italiano, colonialista implacabile e ottuso, secondo il giudizio di Quirico) era probabilmente insito in lui già dalla avventurosa nascita.
Il padre, coinvolto nei moti carbonari del 1831 in Romagna, inseguito dalle guardie papali era scappato per mare alla volta di Istanbul, e proprio durante la navigazione era nato Romolo, che era cresciuto a Costantinopoli. Quando scoppia la guerra in Crimea e Cavour manda un contingente di bersaglieri, Gessi, che aveva fatto le suole militari in Austria e parla italiano, diventa ufficiale di contatto. Qui conosce George Gordon, un inglese che gli aprirà le porte dell’Africa. Intanto decide di andare in cerca di fortuna, prima si sposta sul delta del Danubio, come addetto navale dei Lloyd di Londra, da lì si trasferisce a Trieste. Gordon, nominato governatore del Sudan, lo chiama per una spedizione geografica alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Gessi circumnaviga il lago Alberta e ne stende la prima carta geografica. Tornato in Italia, si arruola con i garibaldini, le cui tecniche di guerriglia gli torneranno utili in Africa, quando Gordon lo richiama per inviarlo nel Sud Sudan, dove lo schiavismo, abolito per legge, esiste ancora perché ingrassa i profitti di un signorotto locale. Con un pugno di uomini dotati di scarsi mezzi ottiene una serie di sorprendenti successi, libera gli schiavi e mette in scacco le forze avversarie, meritandosi l’appellativo di Garibaldi d’Africa. Muore a Suez nel 1881 e nello stesso anno a Venezia, in occasione del terzo congresso geografico internazionale, viene presentata una collezione di oggetti etnografici raccolti da Gessi in Nubia e in Sudan. Il governo austriaco offre 2500 fiorini alla vedova per acquistare la ricca e interessante collezione, che però la famiglia decide di donare al museo etnografico Pigorini di Roma, dove sono tuttora esposti. —
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