Vita, lotte e avventure di Pietro Gori l’anarchico romantico che piaceva al popolo

Sempre in fuga, avvolti in neri tabarri e con la borsa a tracolla piena di libri dei loro padri spirituali, Bakunin, Kropotkin, Malatesta, a scavalcare passi alpini per sfuggire ai carabinieri o a prendere piroscafi per esili lontani, dall'altra parte del mondo. Dove riprendere a cospirare, incessantemente, per abbattere lo stato e sognare una società di liberi e uguali. Romantici, incendiari, violenti. Gli anarchici, in quella seconda metà dell'Ottocento, ne avevano, di energie compresse pronte e esplodere come una bomba delle loro. A bruciarsi da sè, in un rosso e nero turbinio di gioventù e ideali. Come Pietro Gori, anarchico pisano il cui nome oggi dice poco, al di fuori dei circoli che tengono viva la fiaccola del comunitarismo libertario, ma che è l'autore di quella nota 'Addio Lugano bella' che è il canto degli anarchici esplusi dalla Svizzera, scritta alla fine di gennaio 1895 mentre è rinchiuso nelle carceri ticinesi. Canzone che Guccini disse di avere in mente quando compose la sua 'Locomotiva' lanciata a bomba contro l'ingiustizia e di cui su Youtube si trova una versione cantata in coro da Gaber, Jannacci e Lino Toffolo.
Fosse nato ottant'anni dopo, Gori si sarebbe ritrovato sulle barricate del Sessantotto, a sognare la fantasia al potere assieme ad altri univerisitari pisani come Sofri e D'Alema, assicura Massimo Bucciantini, professore di storia della scienza all'Università di Siena, che all'anarchico toscano ha dedicato una bella biografia, 'Addio Lugano bella. Storie di ribelli, anarchici e lombrosiani' (Einaudi, 308 pagg., 30 euro), che racconta di una vita finita presto, a quarantasei anni per tubercolosi, e che si è consumata in un incessante andare avanti e indientro per l'Italia umbertina a fare l'agit-prop, dentro e fuori dalle galere. Poi esule in Europa e in America a tenere conferenze, a fondare riviste, anche a viaggiare fino alla fine del mondo, ritrovandosi nella Terra del Fuoco, in compagnia di altri expat italiani, a scattare fotografie, per poi salire a Valparaiso in Cile e sfiorare il Paranà, sempre in moto, sempre instancabile, come solo può esserlo uno che è totalmente assorbito da un ideale, fino a diventare un mito popolare rivissuto in poesie, canzoni, opere teatrali.
Qualche anno fa uno street writer, Agostino Iacurci, lo ha ritratto su un muro di una casa di Lugano, in un dipinto con i colori dell'anarchia, il rosso e il nero, dal titolo 'Pietro non torna indietro', immaginadolo in bicicletta, perché il movimento era il suo spirito, cappello nero e sigaretta accesa. Ha un'aria simpatica e sbarazzina, annota Bucciantini, niente rimanda al sovversivo di cui erano zeppi i rapporti delle questure. Lugano però segna uno spartiacque nella vita di Gori, nato per caso a Messina nel 1865 ma toscano di discendenza e di elezione. Dopo la laurea in Giurisprudenza presa a Pisa, diviene l'avvocato dei diseredati, che difende gratis. In testa ha Errico Malatesta e la fratellanza universale, ideale che nei suoi anni sudamericani lo fa aderire a una loggia massonica argentina. Il suo impegno di agitatore e cospiratore rivoluzionario, dopo l'abbandono della casa di Lugano ("scacciati senza colpa gli anarchici va via, ma partono cantando con la speranza in cor") lascia il posto al seminatore di idee, al conferenziere di successo, applaudito e acclamato in molte parti del mondo. I suoi comizi e le sue conferenze non erano mai separati da uno sciopero o da un'assemblea da tenere dentro una fabbrica o all'aperto, tra i braccianti delle campagne toscane o lombarde, annota Bucciantini. Oratore affascinante, parla il linguaggio del popolo, si sente parte di quella classe operaia che il marxismo ha svegliato dal suo sonno secolare. Il popolo lo ricambia, lo ama e alla sua morte, nel 1911, si stringe attorno a quello che dalle colonne di 'La lotta di classe' Mussolini chiama con rispetto 'l'ultimo cavaliere errante dell'Idea'.
Paolo Marcolin
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