Vita e lotte di Loris Fortuna il “matto” che cambiò l’Italia

In Italia lo ricordiamo soprattutto per aver legato il suo nome alla legge sul divorzio. Ma Loris Fortuna fu un combattente a tutto campo, anzi, «un “martire laico che si è battuto fino all’ultimo...
In Italia lo ricordiamo soprattutto per aver legato il suo nome alla legge sul divorzio. Ma Loris Fortuna fu un combattente a tutto campo, anzi, «un “martire laico che si è battuto fino all’ultimo per gli ideali”, con i quali «contribuì al più grande salto culturale mai fatto dall’Italia nella seconda parte della nostra Repubblica». Parole di Tommaso Cerno che ricorda così il partigiano, socialista ed ex comunista, in esergo alla biografia a lui ora dedicata da
Gisella Pagano
, moglie di Fortuna, che sul marito aveva già scritto un altro libro (“Loris Fortuna intimo e politico”). E
“Loris Fortuna. Quel “matto” sano che riuscì a cambiare l’Italia” (Bonanno Editore, pagg. 119, Euro 10,00)
è il titolo ora di un lungo racconto sulla vita e le lotte politiche del parlamentare legato a filo doppio con il Friuli, sua terra d’adozione e d’elezione. Racconto che inizia la notte del 5 dicembre 1985 in una clinica romana, negli ultimi istanti della sua vita. E da lì che Gisella Pagano, dal capezzale della clinica dove si trova assieme al fratello di Loris, Piero, comincia a tratteggiare la figura di quello che, in prefazione al volume, Ferruccio Saro definisce «un personaggi eclettico, un uomo libero, autonomista, che non si lasciò ingabbiare dall’autoritario Partito Comunista al quale aveva inizialmente aderito». Il libro sarà presentato oggi, alle 18.30, all'Hotel Là di Moret di Udine, alla presenza dell'autrice, di Claudio Martelli, Ferruccio Saro, Beppino Englaro e del direttore del Messaggero Veneto Omar Monestier.


Antifascista della prima ora, giovanissimo partigiano, Loris Fortuna iniziò le sue battaglie nel 1943 per un mondo voluto più giusto e libero nelle formazioni del Battaglione Cacciatori. Arrestato nel ’44 dopo una spiata, il giovane Fortuna (aveva appena 20 anni) finì ai lavori forzati nel carcere di Bernau, in Baviera. Venne liberato nel maggio del ’45 dagli Alleati. Gisella Pagano ricorda questo periodo attingendo ai diari e agli scritti del marito, dai quali emerge il ritratto di un giovane già molto consapevole della strada che avrebbe percorso. Amico di artisti come Pasolini e Zigaina, inizialmente aderì al Partito Comunista Italiano per poi uscirne nel 1956, dopo i fatti d'Ungheria. Si iscrisse così nel Partito Socialista Italiano, nelle cui fila fu eletto deputato per la prima volta nel 1963. Amico di Pannella, nel ’65 fu il primo firmatario di una proposta di legge intenta a legalizzare il divorzio, proposta che portò avanti nel 1970 insieme al collega liberale Antonio Baslini. Nonostante l'opposizione della Democrazia Cristiana, Fortuna trovò l'appoggio del Pci, del Partito Radicale, del Pli e della sinistra, e il 1º dicembre dello stesso anno la proposta di legge "Fortuna-Baslini" fu approvata. Fu una doppia vittoria, visto che Fortuna scavalcò anche il referendum con il quale la Dc nel ’74 tentò di abrogare la legge. Ancora, tra il 1972 e il 1976 Loris Foruna firmò la prima proposta sulla depenalizzazione dell'aborto. Anche su questa proposta la Dc, nel 1981, propose un referendum popolare e anche stavolta le tesi di Fortuna ottennero l'appoggio della maggioranza dei votanti.


«Non furono mai semplici - ricorda Gisella Pagano - le battaglie di Loris Fortuna: divorzio, aborto, abolizione della censura, diritti umani, fame nel mondo, la donna nella società civile e moderna, eutanasia. Battaglie che spesso furono combattute in mezzo all’incomprensione di molti compagni del suo stesso Partito». Come accadde per il sostegno all’eutanasia passiva, contro l’accanimento terapeutico, idea per la quale Fortuna si era preparato a lungo in vista di una proposta di legge.


«Amava la libertà sopra ogni cosa - disse Bettino Craxi nell’elogio funebre -, l’amava per sé e per gli altri, e questo suo grande ideale si rifletteva nel suo spirito di indipendenza, nel suo anticonformismo, nella sua insofferenza per le ipocrisie, i tabù, le costrizioni ingiustificate e nel suo profondo senso di giustizia». “La vittoria ha molti padri, forse troppi”, era il motto preferito di Loris Fortuna, ed è con questo che l’autrice chiude il racconto della sua vita.


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