Vita di Silvio, bimbo diviso dalla Linea Morgan sempre in bilico sui confini tra due culture

TRIESTE Sono tornati a manifestarsi fisicamente in tutta la loro forza e violenza dallo scoppio della pandemia, separando di nuovo le persone come in un recente passato, quando ormai davamo per scontata la nostra possibilità di attraversarli liberamente.
I confini fanno parte dell’identità di questo territorio e dei suoi abitanti. A volte luogo di incontro e di arricchimento reciproco. Altre volte di separazione e di respingimento. Chi ha vissuto questo lato negativo direttamente sulla propria pelle e ne porta ancora dentro le ferite è Silvio Pecchiari-Pečarič, autore del libro autobiografico “Fuori dai confini. Memorie di un bambino sulla linea Morgan” (Battello Stampatore, pagine 208, euro 16), che verrà presentato giovedì 2 luglio alle 19 nell’ex lavatoio di San Giacomo dall’associazione culturale “Tina Modotti”.
“Il signor Silvio” è nato a Skofije (ex “Albaro Vescovà”) nel 1940 da una famiglia slovena di umili origini e dal 1975 è attivo come pittore in mostre personali e collettive di ambito regionale, operando per molti anni nel circolo operatori visivi Sloveni. Ciò che lo ha spinto a prendere la penna in mano è stata, innanzitutto, la necessità personale di riconciliarsi col suo passato e la storia della sua famiglia, nel tentativo di uscire dalla gabbia nella quale si è sentito rinchiuso per lungo tempo, come suggerisce il titolo stesso dell’opera.
In secondo luogo, il libro è indirizzato soprattutto a chi come lui ha vissuto un esodo, con la speranza che la sua esperienza possa essere d’aiuto a chiunque sia disposto a fare qualcosa per superare assieme il trauma collettivo.
«Spesso, oltre ai nostri traumi, noi riviviamo interiormente anche i traumi dei nostri antenati. E, se non li risolviamo, le loro conseguenze diventano patrimonio familiare e continueremo a trasmetterli da generazione a generazione», afferma Pecchiari-Pečarič. Quando pronuncia queste parole, ha in mente anche suo figlio Boris prematuramente scomparso nel 2014 e al quale ha voluto dedicare il libro.
La complessa vicenda Silvio Pecchiari-Pečarič, simile a quella tanti, tantissimi altri triestini, ha inizio nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, durante la quale la madre fu costretta a provvedere alla sopravvivenza dei figli assieme al supporto dei nonni paterni, poiché il marito si trovava imprigionato in Africa dopo aver combattuto sotto l'esercito italiano, mentre uno zio si era arruolato tra le fila dei partigiani. Con la fine del conflitto, Trieste diventa Territorio libero con la separazione del territorio in zona A e zona B, rispettivamente sotto il controllo degli Alleati e degli Jugoslavi.
Il confine, la famosa linea bianca, passava proprio a pochi metri dalla casa della famiglia del piccolo Silvio, che da allora visse con sempre maggiore difficoltà a causa delle crescenti tensioni e violenze, fino a giungere alla sofferta decisione di andare via.
Fu l’inizio di un lungo esodo che portò lui alla sua famiglia ad abbandonare più volte la casa e la scuola alla quali il bambino faceva appena in tempo ad affezionarsi, passando un periodo anche nella caserma dei pompieri di Muggia e nel campo profughi delle Noghere, sballottati da una parte all’altra dai moti della storia che non si curano delle sorti delle singole persone.
Queste circostanze hanno segnato nel profondo il giovane Pecchiari-Pečarič, che ha dovuto affrontare difficili separazioni e lutti che ancora oggi riaffiorano dolorosamente nella sua vita di ottantenne. Come spiega nella prefazione Adriana Giacchetti, la curatrice del volume, all’interno del libro parlano due voci: quella del bambino vissuto nella casa dei nonni paterni finché la Storia non si è scontrata con la storia della sua famiglia, costringendo i suoi componenti ad allontanarsi dal paese. «E poi – prosegue Giacchetti -la voce dell'adulto quasi ottantenne che scava nelle proprie radici dolenti per interrogarsi sull'oggi, per sanare le ferite inflitte da quella stessa Storia». Memoria vissuta di una delle tante anime divise di questa città, la narrazione fa continui balzi tra il passato e il presente, stabilendo dei paralleli tra quanto vissuto in prima persona e quello che si verifica ancora oggi in altre parti del mondo. «Il telegiornale da un po' di giorni mostra quello che sta accadendo in Siria. Ciò che più mi colpisce sono le case bruciate. Vedere la gente che fugge dagli edifici in fiamme mi riporta a qualcosa che non vorrei più vedere. Vorrei non accadesse più», racconta l’autore in un passaggio.
Un’altra voce presente tra le pagine del libro è quella della madre di Silvio, che attorno alla stessa età di suo figlio ha sentito l’esigenza di parlare di sé in un diario e in una lunga intervista rilasciata al Piccolo. Il libro è stato scritto direttamente in italiano, ma nel testo sono presenti anche alcune parole e toponimi in sloveno, cioè la lingua madre dell’autore, e nel dialetto locale, la cui spiegazione è poi riportata nel glossario finale. Il volume è corredato in appendice da un contributo di Leander Cunja, conoscitore della storia di Škofije, il quale ripercorre la cronologia degli eventi che fanno da sfondo alla narrazione, e anche da cartine geografiche che illustrano i vari spostamenti di quel confine, nonché da una corposa sezione fotografica attinta sia dall’archivio personale di Silvio che da quello del Primorski Dnevnik (il quotidiano di Trieste in lingua slovena) con gli scatti del fotografo triestino-sloveno Mario Magajna. —
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