Vita di mare tra squeri e sessolote
Squeri e cantieri, proti e sesolote. Nomi comuni che parlano della Trieste mercantile e marinaresca, protagonista dal Settecento di una stagione vivacissima i cui segni distintivi ci accompagnano ancor oggi. Il viaggiatore che da fine Settecento a metà Ottocento si fosse avventurato lungo le odierne Rive avrebbe incrociato lo squero Panfilli, oggi in largo Panfili. Subentrò a quello storico di San Nicolò, allora sul terreno occupato dal palazzo dei Lloyd, sede della Regione, in piazza Unità, mentre in Androna Campo Marzio avrebbe ammirato i fabbricati di quella che fu la prima sede dell’Arsenale del Lloyd, oggi in fondo al Passeggio Sant’Andrea, con la sua iconica torre.
La navigazione marittima è stata dal primo Settecento oggetto di grande attenzione della politica austriaca. Le costruzioni navali da attività quasi artigianali si trasformarono progressivamente in industria a metà Ottocento, quando Trieste muoveva lungo le rotte che portavano in Africa, Levante, Americhe, Oriente. L’economia cresceva, nuove tecnologie si affacciavano come la macchina a vapore, l’elica, e procedevano i lavori per il taglio dell’Istmo di Suez (1869). Le attività non conoscevano soste, né si trovavano braccia sufficienti – racconta Fulvio Babudieri in ’Squeri e Cantieri’– caffè, tabacco, spezie, cotone, frutta secca, agrumi, zuccheri e olii venivano velocemente scaricati dalle panciute navi allineate sulle banchine che poi lestamente riprendevano il largo. Accorrevano in porto le ’sessolote’per la mondatura dei chicchi di caffè o di altri prodotti in grani come pepe, mandorle, o patate. Nuovi moli venivano costruiti, nuovi magazzini, binari ferroviari. Si svilupparono arsenali.
In città il numero delle aziende artigiane chiamate a collaborare nella costruzione di navi cresceva velocemente, con botteghe di velai e intagliatori, officine di fabbri e tornitori, vivaio di maestranze specializzate. Prima dell’istituzione del Porto Franco (1719) alle necessità dell’armamento triestino era sufficiente l’opera dello Squero dell’antica Confraternita di San Nicolò, adibito quasi esclusivamente al rattoppo delle imbarcazioni, dove non si costruivano navi di grande portata ma principalmente brazzere e pieleghe, poiché i bastimenti maggiori venivano commissionati negli arsenali di Venezia e Fiume. Tutto cambiò con la risoluzione di Carlo VI del 1719 che fece fiorire a Trieste commercio e industria dando nuovo impulso alla marineria.
Nello sviluppo di Trieste marittima un ruolo centrale ebbe l’istruzione. Nel 1753, con Sovrana Risoluzione da parte di Maria Teresa d’Austria, venne istituita una scuola nautica, la cui organizzazione venne affidata al padre gesuita Francesco Saverio Orlando. Gli studi erano biennali e comprendevano trigonometria, astronomia, geografia e geometria. Mentre tra i principali arsenali inglesi, francesi e del Nord Europa già circolavano testi di costruzione navale, a Trieste la competenza era basata sul colpo d’occhio, pochi strumenti, tanta esperienza.
Bravissimi calafati – anche maestri d’ascia – e carpentieri triestini e istriani furono i protagonisti sino a che le navi di legno, con la carena spalmata di pece, rivestita di feltro e di lamierine di bronzo, non cominciarono a scomparire per essere sostituite dalle navi in ferro. Subentrarono allora – racconta Babudieri – i curvatori di orbe e di lamiere, i ribattitori di bulloni e i carpentieri in ferro. Con l’introduzione della macchina a vapore gli specializzati manipolatori di metallo, i tornitori, i calderai, i tubisti, i modellisti, i fonditori. Fu il gran momento di fabbri e meccanici.
Nel 1788 con Sovrana Risoluzione Odorico Panfilli, proveniente da Rovigno ma veneto di nascita, ebbe l’autorizzazione ad erigere uno squero, il primo grande cantiere della città. Intorno al 1840 lo squero Panfilli – che nel 1818 aveva costruito la prima vaporiera triestina – si sviluppò anche tecnologicamente, e in un decennio operosissimo costruì una trentina di scafi per il Lloyd Austriaco. Il Cantiere costituiva un’evoluzione del precedente Squero della Confraternita di San Nicolò, di cui Panfilli fu proto, ovvero costruttore a capo di una maestranza in Arsenale. Nel 1818 Panfilli costruì il primo piroscafo a ruote a solcare le acque del Mediterraneo orientale, il ’Carolina’ su commissione del cittadino americano John Allen, in grado di raggiungere le 9 miglia all’ora. Un decennio più tardi fu la volta del ’Civetta’, con il quale Josep Ressel fece il primo tentativo in Europa di nave con propulsione ad elica. I 13 scali di cui disponeva il cantiere lo rendeva tra i più attrezzati del Mediterraneo e di questi ben otto erano riservati alle grandi navi.
Il cantiere dovette essere chiuso nel 1851 perché per la sua posizione, nell’ex Piazza dei Carradori, impediva il completamento della viabilità sulle Rive, della ferrovia e il prolungamento delle vie della Posta Vecchia, della Geppa e della Pesa.
Nell’agosto 1839 il professore di architettura navale Gaspare Tonello, veneziano di nascita, insegnante presso l’Accademia del Commercio e Nautica di Trieste, fondò un nuovo squero per costruzioni sia di bastimenti a vela sia di vapori, individuando l’area di insediamento di 6. 000 Klafter quadrati tra Sant’Andrea e Servola. Fu inaugurato nel marzo 1840 e il nome dato allo stabilimento fu ’San Marco’, in onore alla città natale del suo fondatore.
Per parte loro i fratelli Strudthoff diedero grande sviluppo alle Officine-fonderie di S. Andrea dove nel 1906 venne costruito il primo impianto di turbina a vapore, mentre le prime caldaie a tubi d’acqua del tipo Field vennero costruite fin dal 1874.
Nel maggio 1853 venne posta la prima pietra all’Arsenale del Lloyd alla presenza dell’arciduca Ferdinando Massimiliano. I primi insediamenti nell’area risalgono agli anni Trenta dell’Ottocento quando la Società di Navigazione del Lloyd austriaco (1833) decise di munirsi di una propria officina e fonderia.
Le prime navi furono costruite nei cantieri inglesi e nel cantiere Panfilli, ma presto il Lloyd spostò la costruzione “in casa”, destinando la zona di Campo Marzio a centro operativo con magazzini che ancor oggi sopravvivono all’usura del tempo e della memoria. Il principale interlocutore di allora fu un inglese, John Iver Borland, che considerava Trieste una “seconda Liverpool” e che da imprenditore lungimirante si impegnò nell’adattare alle nuove esigenze la zona di Chiarbola inferiore, costruendo il piazzale e il viale di Sant’Andrea, abbassando la collina alle spalle e sistemando il Piazzale dell’Artiglieria, primo – tra l’altro – ad avviare la costruzione dell’odierna via Franca.
Il progetto della torre d’accesso al complesso dell’Arsenale del Lloyd fu affidato all’architetto danese Christian Hansen e all’ingegnere Edward Heider che la disegnarono in stile neogotico, realizzandola in blocchi di pietra arenaria rivestiti da pietre squadrate in calcare bianco proveniente dalle cave di Pola.
Di quella stagione straordinariamente ricca queste sono solo alcune suggestioni: vie, palazzi e istituzioni museali, a memoria e stimolo per il futuro, la raccontano. –
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