Vita di Idolina Landolfi, la scrittrice dai mille volti che amava Trieste e la jota

TRIESTE “Trascorse un lungo tempo prima che mettesse penna in carta; i suoi quaderni di allora erano pieni di spunti per racconti, e di frasi in cui più o meno si ripeteva: Che vale, quando lui ha già detto tutto, prima e meglio di quanto potrei io mai? ” A scrivere di sé in terza persona è Idolina Landolfi (1958-2008), la scrittrice, giornalista, saggista, traduttrice, critica letteraria che sopra ogni cosa consacrò la sua vita complicata alla ricostruzione e alla cura dell’archivio e delle edizioni del padre Tommaso Landolfi, scrittore raffinato e atipico, autore di testi visionari, sperimentali, stranianti, amante di uno stile arcaico e insieme innovatore della lingua italiana.
Una figura forte e imprescindibile, un padre ingombrante, al punto che uno dei romanzi di Idolina, ancora inedito, s’intitola emblematicamente “Quando ero mio padre. Storia di una possessione”. Con questo titolo suggestivo esce ora un libro su e per Idolina Landolfi curato da Ernestina Pellegrini e Diego Salvadori (Florence Art Edizioni, pagg. 114, euro 15) che ricostruisce un ritratto a più voci di questa donna eccentrica e avventurosa attraverso i saggi di Valentina Fiume, Federico Fastelli e Laura Poggi e le testimonianze di Giovanni Maccari, Annalisa Alleva, Roberto Dedenaro, Monique Baccelli, Daniela Tamborino e Rodolfo Sacchettini. Idolina, per anni collaboratrice delle pagine culturali di quotidiani come La Stampa, La Repubblica, Il Mattino, L’Unità, Il Giornale e Il Piccolo, aveva maturato un rapporto intenso con Trieste. Ci veniva spesso, ospite di Roberto Dedenaro e poi di Laura Safred, affascinata dal nostro dialetto che avrebbe voluto imparare e divertita dai libri di Cesare Fonda “Ocio alla jota” e “Omo xe omo”, come ricorda Dedenaro. Si era, tra l’altro, occupata di un personaggio triestino, Leonor Fini, amica del padre a cui aveva fatto il ritratto mentre lui l’aveva immortalata in un gustoso racconto, “Lo schiaffo”, contenuto nella raccolta “Un paniere di chiocciole” (1968).
Con Leonor Fini Idolina condivideva l’amore per i gatti, suoi compagni nella casa di Montespertoli piena di libri e di memorie. Di lei scrive Ernestina Pellegrini: “Aveva moltissimi amici sparsi in mezzo mondo, da cosmopolita qual era, e nello stesso tempo era una delle persone più sole che io abbia mai conosciuto. Sola per scelta, sia chiaro, per elezione, per amore della profondità. Coltivava il personaggio dell’inaccessibile. Era per metà eremita e per metà donna di mondo. Eppure, era un’avventuriera quasi settecentesca: come pochi sapeva trasmettere una contagiosa gioia di vivere e una curiosità inesauribile per le persone e i luoghi lontani”.
Un’indagine per l’altro e per i mondi letterari più differenti che aveva preso spesso la strada della traduzione: a lei si deve la prima proposta in italiano di Annie Ernaux con “Passione semplice” già nel 1992 nonché un’indagine approfondita sull’opera di Irène Némirovsky appena tradotta in Italia e un volume sull’attività teatrale di Jacques Prévert. Ma da riscoprire sarebbero anche i testi narrativi, come ad esempio il modernissimo romanzo per ragazzi “I litosauri” del 1999, esempio di storia che tratta di pedagogia ambientale e di sviluppo sostenibile. Del lavoro del padre Tommaso è stata curatrice per Rizzoli e Adelphi diventando a volte anche personaggio letterario, tanto che è dichiaratamente lei la Minor dei diari di Landolfi; poi l’adesione con la scrittura paterna si è fatta così profonda da creare una sorta di affascinante e inquietante “ventriloquismo stilistico” come testimonia il titolo del romanzo autobiografico di cui si è parlato sopra. Nelle opere di Idolina trasudano “il fantastico, il nero romantico e preromantico, lo straordinario, il vampireso e l’occulto, in una atmosfera di elegante improbabilità” ha notato Mario Luzi. Ad impreziosire il libro “Quando ero mio padre” ci sono le immaginifiche acqueforti di Antonio Petti ispirate a Idolina e al suo mondo. —
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