Vita agra e alcolica di Edgar Allan Poe l’orfano che cercava rifugio nell’orrore

Marta Herzbruch
“Scrivere non è fare il solletico, ma ferire, lacerare l'anima del lettore, questo è l'intento di Poe in un'indagine dell'assurdo e del bizzarro”, scrive Teresa Campi in “La vera storia di Edgar Allan Poe” appena uscita per i tipi di Odoya (2020, pagg. 367, euro 24). In questo poderoso volume riccamente illustrato, la tormentata vita e tutte le opere dello scrittore americano sono ripercorse con materna apprensione da Campi, giornalista, traduttrice e autrice di diversi saggi e opere di narrativa. Con uno stile a metà tra la biografia romanzata e il saggio vengono ricostruite le drammatiche tappe della breve e dissoluta esistenza di questo grande poeta maledetto, inventore della detective story, autore di un unico romanzo, “Le avventure di Gordon Pym”, di avanguardistici saggi sulla letteratura, e d'insuperati grotteschi racconti gotici e dell'orrore, popolati da morti viventi, fantasmi e revenant. La Campi vuole anche dissipare il cliché che, per quasi un secolo, ha associato all'autore di “Il pozzo e il pendolo” il marchio del caso clinico, relegandolo tra i pazzi, gli alcolisti e i necrofili.
Campi descrive come Edgar Allan Poe (1809-1849) convisse con la presenza della morte, della miseria e col senso della perdita sin da bambino. Il libro s'apre con la morte per tubercolosi della giovanissima madre dell'autore, attrice in una compagnia di teatranti girovaghi. Essendo sparito il padre alcolizzato, il piccolo orfano è accolto dagli Allan, famiglia benestante di Richmond, e il ragazzo ne assumerà il cognome. Gli anni di benessere e di affetto durano poco perché, se amato da Frances Allan, è mal sopportato dal marito di lei, che finirà per allontanarlo da casa non permettendogli di terminare l'università.
Edgar non verrà mai a capo dell'abbandono di John Allan e si sentirà sempre doppiamente orfano. Più d'ogni altra cosa, cercherà figure materne capaci di proteggerlo dai mali del mondo e figure paterne che credano nel suo genio e nei suoi progetti letterari. Non li troverà se non nella figura di una zia paterna e della cuginetta Virginia, che sposerà bambina e che morrà di tisi a 25 anni. Cacciato dal paradiso borghese degli Allan, Edgar ripiomba nella miseria più nera della prima infanzia e la sua esuberante creatività andrà bruciata in lavori malpagati in riviste di provincia, dove riesce però a pubblicare le sue poesie e i suoi racconti.
Mentre vede morire le donne che ama, ottiene qualche riconoscimento, come per i racconti “Il manoscritto trovato in una bottiglia”, “Berenice”, "Ligeia", “La rovina della casa degli Usher”, "Il gatto nero", “La discesa nel Maelstrom”, “La maschera della morte rossa” o “Lo scarabeo d'oro”. Ma Edgar ha un caratteraccio e dalle pagine di quelle riviste dove trovano a malapena spazio i suoi capolavori, getta le basi della critica letteraria moderna, lanciandosi in violenti attacchi all'establishment letterario americano, agli ignoranti editori, ai scrittori plagiari, ai critici venduti. La povertà e la disperazione lo portano a bere e le conseguenze sono disastrose, probabilmente per tare ereditarie.
La fama, in patria, arriva con la poesia “Il Corvo”, mentre in Francia viene osannato da un manipolo di anglisti che traduco i racconti della trilogia de “I delitti della Rue Morgue”, col loro primo detective su carta stampata: Auguste Dupin. Troppo tardi, poco dopo la morte della moglie, se ne va anche Edgar, trovato semi-cosciente in un canale di scolo di Richmond. Teresa Campi lo esclude, mentre altre fonti indicano il delirium tremens come causa della sua morte, solo, in ospedale. Alla fine sarà il suo peggior nemico a farsi carico del suo lascito letterario, che cercherà di manomettere e disperdere. Un libro necessario, dunque, che mette voglia di rileggere tutti i racconti di E. A. Poe. —
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