“Vinodentro”, storia di una malefica ossessione

Stasera al cinema Ariston il regista Ferdinando Vicentini Orgnani presenta il film che racconta di un astemio che diventa sommelier
Di Elisa Grando

Bere bene, oggi, è diventato un must: negli ultimi vent'anni la caccia al calice di qualità, alla bottiglia di pregio, al vitigno raro ha contagiato molti. E, per qualcuno, è diventata quasi un'ossessione. Come per il protagonista del film "Vinodentro" del friulano Ferdinando Vicentini Orgnani, un impiegato di banca astemio al quale il primo sorso di vino cambia completamente la vita: diventa un appassionato ed esperto sommelier, precipitando in un vortice di piacere, potere e peccato. Questa sera il regista arriverà a Trieste al Cinema Ariston per incontrare il pubblico alle 20.30, tra la proiezione delle 18.45 e quella delle 21, in un appuntamento organizzato da La Cappella Underground. Domani, invece, presenterà il film al Kinemax di Gorizia. Fra noir e commedia, ispirato al romanzo "Vino dentro" di Fabio Marcotto, il film di Vicentini Orgnani (già regista di "Ilaria Alpi - Il più crudele dei giorni") è girato in Trentino e riunisce un cast di altissimo livello: Vincenzo Amato (il volto simbolo del cinema di Emanuele Crialese, da "Respiro" a "Nuovomondo"), Giovanna Mezzogiorno («la prima che ho coinvolto, dopo il film su Ilaria Alpi», dice il regista), Pietro Sermonti, l'attore francese Lambert Wilson e il triestino Gianmaria Martini, in un ruolo piccolo ma che buca lo schermo. La fotografia è del maestro Dante Spinotti, le musiche di Paolo Fresu. E, a dimostrazione di quanto il tema del vino sia universale, il film è già uscito anche in Australia il 17 settembre, a fine ottobre sarà al Festival di San Paolo in Brasile, a marzo volerà negli Usa. Il regista, che tornerà a Trieste anche per il prossimo Festival del Cinema Latinoamericano per presentare il suo documentario sulla Bolivia "Un minuto de silencio", in mezzo alle vigne ci è cresciuto: dal 1946 la sua famiglia possiede un'azienda vitivinicola a Valeriano, nel pordenonese.

Vicentini Orgnani, quanto c'è nel film della sua esperienza diretta nell'ambiente del vino?

«Il romanzo di Marcotto mi ha dato l'idea da cui partire ma il vino è molto importante anche nella mia vita, nonostante io non sia un sommelier. Sento i racconti di mio fratello che fa il viticoltore, e ho amici molto ricchi che collezionano vino: alcuni del Messico, per esempio, con i quali ho bevuto un La Tâche Romanée-Conti del '66, un vino da 3000 euro a bottiglia. A me non verrebbe neanche in mente di comprarlo».

Il primo sorso di Marzemino stravolge la vita del protagonista: qual è la particolare magia del vino?

«Ha un potere mistico, di trasformazione: gli abbiamo attribuito qualcosa di esistenziale. La passione del protagonista però sfocia nell'eccesso, nell'ossessione: per questo il film racconta anche la lotta tra bene e male, con citazioni esplicite a "Il Maestro e Margherita" di Bulgakov o al "Faust". Come nel patto faustiano, anche per il protagonista c'è un prezzo da pagare».

Perché, soprattutto negli ultimi decenni, intorno al vino è nata una sorta di mitologia culturale?

«È una mitologia motivata: il vino porta l'identità della terra che lo produce in giro per il mondo, è una sorta di estratto magico di un luogo, delle condizioni climatiche, del modo in cui le persone lo concepiscono. In un momento di sbandamento generale il ritorno a qualcosa di originario colpisce. E questo va al di là della moda del vino con la sua spettacolarizzazione: ho sentito che stanno preparando un reality, tipo "MasterChef", sui sommelier».

È vero che l'idea iniziale era quella di girare il film in Friuli?

«Sì: nella prima versione toccavo il tema del cambiamento del nome del Tocai. Avevo chiesto all'assessore regionale alle risorse rurali un finanziamento speciale che attingesse proprio ai fondi del Ministero dell'Agricoltura per il cambio di denominazione. Lui però non si è più fatto vivo».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo