Villa Amistà, quell’hotel ricco di capolavori come una galleria d’arte

di Franca Marri Un luogo in cui la storia ha voluto lasciare preziose testimonianze. Un luogo in cui poter ritrovare il proprio benessere fisico e spirituale, sorseggiando qualcosa di fresco,...
Di Franca Marri
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di Franca Marri

Un luogo in cui la storia ha voluto lasciare preziose testimonianze. Un luogo in cui poter ritrovare il proprio benessere fisico e spirituale, sorseggiando qualcosa di fresco, passeggiando sotto un porticato di gelsomini o lungo la via delle rose o ancora all'ombra di alberi secolari, ammirando contemporaneamente capolavori d'arte e di design.

Nel cuore della Valpolicella, a pochi chilometri da Verona e non lontano dal centro abitato di Corrubbio di Negarine, sorge Villa Amistà. Immersa in uno splendido parco all'italiana leggermente decrescente verso sud, con l'antico brolo sul retro che s'innalza verso le colline, la villa risale alla fine del Quattrocento. Lasciata all'abbandono dopo la seconda guerra mondiale è rinata come hotel a 5 stelle e allo stesso tempo originalissima galleria d'arte.

Un libro uscito da pochi giorni per Electa e intitolato "Byblos Art Hotel. Un'esperienza sensazionale", a cura di Isabella Pedicini e Masha Facchini, ne racconta ora la storia, soffermandosi sulle sue peculiarità sensoriali ed emozionali oltre che artistiche e culturali (p. 144, € 29, testo italiano/inglese).

Tutto ha inizio quando una nobile casata veronese, la famiglia Banda, decide di stabilirsi a Corrubbio in quello che inizialmente doveva essere una sorta di fortino difensivo attorniato da un fossato, costruito su un preesistente insediamento di epoca romana. Fu molto probabilmente l'intervento dell'architetto Michele Sanmicheli, all'inizio del Cinquecento, a conferirgli il primo aspetto di villa di campagna, ampliando e innalzando il nucleo centrale, contrassegnando la facciata con una loggia tripartita e una scalinata esterna a due rampe parallele alla fronte e convergenti al centro. Le due ali laterali, aggiunte successivamente, la fanno assimilare alle più celebri ville palladiane.

Dopo vari passaggi di proprietà (Serego, Sacchetti e Brognolino), nel 1850 giunge alla famiglia aristocratica piemontese Amistà. Requisita dai comandi tedeschi durante il secondo conflitto mondiale, venne del tutto abbandonata nel dopoguerra, fino a quando, alla fine degli anni novanta, Dino Facchini, ideatore del celebre marchio di moda Byblos, decise di acquistarla.

«Non sapevo cosa ne avrei fatto - racconta nel libro - ma mi è piaciuta subito, nonostante fosse ridotta molto male. In un secondo momento ho acquistato anche le case dei contadini. La prima idea era quella di destinarla ai miei tre figli, ma le loro esigenze erano diverse, così abbiamo deciso di riunire qui, dopo la ristrutturazione, tutte le nostre passioni per riportare la villa agli antichi splendori».

Dopo accurati lavori di restauro che hanno tra l'altro riportato alla luce le decorazioni cinquecentesche e gli affreschi di gusto neoclassico, nel 2005 il Byblos Art Hotel ha aperto i battenti arricchendosi di giorno in giorno di opere e oggetti d'arte che spesso creano vivaci cortocircuiti tra antico e moderno, assolutamente stimolanti per gli occhi e per la mente, capaci di rinnovare tutti i cinque sensi come i cinque capitoli del libro illustrano in maniera estremamente suggestiva.

Oggi sono ben cinquantatrè gli artisti rappresentati in villa con nomi che vanno da Anish Kapoor a Takashi Murakami, Damien Hirst, Cindy Sherman, Marina Abramovic, Tony Cragg, Mat Collishaw, ai grandi maestri italiani come Piero Manzoni, Enrico Castellani, Mimmo Rotella, Luigi Ontani, Alighiero Boetti, Mimmo Paladino e i più giovani tra cui Sissi, Loris Cecchini e Maurizio Savini.

Già all'esterno si possono ammirare la gigantesca orchidea fucsia di Marc Quinn installata nel parco, i Candélabres in vetro di Murano di Jean-Michel Othoniel sulle scalinate, o ancora i lupi di Jelena Vasiljev che camminano lungo una parete della villa sfidando la forza di gravità. Entrando poi nella hall e posando i piedi su un pavimento in tipico seminato alla veneziana non si può che rimanere stupefatti dall'eccezionale incontro tra le composizioni di farfalle di Damien Hirst, la lampada Treetops di Ettore Sottsass, la Poltrona Proust di Alessandro Mendini, la Ball Chair di Eero Aarnio, l'acciaio specchiante di Anish Kapoor, le acrobatiche "Sphinx" in bronzo dorato di Marc Quinn: il tutto sotto il vigile sguardo delle modelle di Vanessa Beecroft che si alternano alle architetture trompe-l'oeil affrescate sulla fascia alta delle pareti, subito sotto il soffitto ligneo a cassettoni.

Diversi gli artisti che sono stati chiamati appositamente per realizzare un'opera site specific «come ai tempi dei papi e dei re»: come un illuminato mecenate del Rinascimento Dino Facchini, con la preziosa collaborazione della figlia Masha, ha dato vita ad una dimora delle meraviglie dove possono convivere «epoche, mondi, stili e persone differenti».

La sala delle Quattro stagioni è stata affidata a Giulio Paolini il quale è venuto a confrontarsi con gli affreschi settecenteschi raffiguranti lo scorrere del tempo, nel desiderio di suggerire un attimo di eternità.

Mariangela Levita è intervenuta in alcuni corridoi, riflettendo sull'idea del passaggio come transito sia fisico che virtuale, mentre Ozmo, Tvboy, Microbo&Bo, Nais, Pao, Sonda, Pus, Dado, Stefy e il poeta Ivan Tresoldi sono stati invitati ad interpretare altri luoghi di passaggio sotto il segno della street art.

Il bar dell'hotel nasce invece da un progetto a quattro mani dell'architetto e designer Alessandro Mendini e del pittore americano Peter Halley.

«L'hotel - spiega Halley - è davvero magico. È una straordinaria Gesamtkunstwerk, e probabilmente la più complessa e la più completa fra tutte le opere di Alessandro Mendini, che in questa sede dà dimostrazione del suo talento nel design sia di ambienti che di oggetti domestici».

Ed è lo stesso designer Alessandro Mendini che viene raccontarci di come ebbe origine la sua collaborazione con Dino Facchini: «Un giorno mi ha chiesto di progettare una suite e, così, per lui ho disegnato l'interno di una stanza all'ultimo piano di Villa Amistà. Poi me ne ha chiesta un'altra e un'altra ancora, infine mi ha coinvolto ampiamente nel progetto di tutti gli spazi dell'hotel».

Il parco ha visto il coinvolgimento dell'agronomo e architetto paesaggista Gianfranco Paghera attento non solo alle forme e colori di piante e fiori ma anche ai loro profumi e fragranze. E con la stessa attenzione e passione lo chef Marco Perez è pronto ad allietare il gusto degli ospiti con i suoi piatti originali, molto vicini anch'essi a delle opere d'arte.

Per «un lungo, immenso, ragionato deragliamento di tutti i sensi» (Arthur Rimbaud).

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