Vicentini Orgnani: «Bolivia, dittatura soft di un indio presidente»

TRIESTE. Doveva essere il primo presidente indio, uno che veniva dal basso e che si era fatto da solo per iniziare a traghettare un popolo impantanato nella povertà verso un miglioramento generale e condizioni di vita più decorose: la sospirata rivoluzione, però, è rimasta sulla carta. Una figura controversa, quella di Evo Morales, appena riconfermato per la terza volta alla guida della Bolivia e al centro di “Un minuto de silencio”, film documentario di Ferdinando Vicentini Orgnani, presidente di giuria al Festival del Cinema Latino Americano in corso questi giorni a Trieste e protagonista della serata evento di stasera alle 20 all'Auditorium del Museo Revoltella. Un progetto durato sei anni, quello del regista milanese, con una genesi curiosa che lo ha portato dalla dimora losangelina di una star hollywoodiana fino alle terre più selvagge della Bolivia.
È infatti a casa dell'attore croato Rade Šerbedžija, che nel film di Vicentini Orgnani “Ilaria Alpi. Il più crudele dei giorni” interpretava l'operatore triestino morto in Somalia Miran Hrovatin, che nasce l'idea di un documentario sul Paese, inizialmente incentrato sulla figura dell'ex presidente esiliato De Lozada. «Volevo realizzare un film sull'uso del potere - spiega il regista - e dello scenario politico di quel Paese pochissimi sanno qualcosa in Italia: nel baricentro dell'informazione la Bolivia non entra praticamente mai». Se non per l'attenzione mediatica guadagnata da quel “primo presidente indigeno”, come fu battezzato "El Indio" Morales, una novità assoluta. «Nel film mi sono interessato soprattutto al fattore che ha avuto quest'uomo come potente catalizzatore – continua il regista -: si avvertiva una grande trasformazione in atto, all'inizio ci fu un entusiasmo trascinante per una rivoluzione socialista che consegnava il potere nelle mani di un presidente indio. Era un momento di grande coesione sociale nella speranza che arrivasse qualcuno in grado di migliorare realmente le cose». Ma la speranza riposta in Morales - molti suoi sostenitori avevano percorso a piedi anche una settimana a piedi nella giungla per andare a votarlo - si tramutò pian piano in un senso diffuso di tradimento avvertito dalla popolazione, culminato in una recente e drammatica protesta di piazza. «La tentazione della politica ha cambiato i piani e la sua presidenza si è trasformata, soprattutto a causa del ricatti dei cocaleros, in una dittatura soft: sicuramente molto migliore di quelle che sono state le dittature di quei Paesi negli anni '70 ma lontana dall'essere una democrazia reale come auspicava chi ha eletto Morales». I coltivatori di droga hanno avuto la meglio: da 5000 ettari destinati alla coltivazione della pianta a foglia larga, si è poi passati grazie a Morales ad otto, 15 ed oggi a 32mila ettari coltivabili. «O si fa sapone o è evidente che la si utilizza per produrre la coca. Spesso per far quadrare i conti le famiglie producono nella lavatrice di casa la pasta di coca, che viene poi consegnata ai narcotrafficanti. È chiaro che quel che resta in Bolivia è nulla rispetto ai grandi guadagni che se ne vanno all'estero. Non credo di aver attribuito al personaggio un giudizio negativo – sottolinea comunque il regista –, penso di aver proceduto con lo stesso equilibrio di altri miei film».
Alla sua prima volta come presidente di giuria al festival triestino, il regista in questi giorni nelle sale anche con “Vinodentro” con Lambert Wilson e Giovanna Mezzogiorno, ha voluto spendere parole di apprezzamento per la manifestazione. «È un festival con alle spalle quasi trent'anni di storia – dice Orgnani - con un pubblico di appassionati che lo segue fedelmente e che presenta opere di altissimo livello che spesso si vedono soltanto all'estero».
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