Vent'anni fa Elisa a Sanremo. Il trionfo della ragazza vestita di bianco
TRIESTE Tre marzo duemilauno. Nella vita, artistica s’intende, di Elisa Toffoli, ci sono un prima e un dopo. Lo spartiacque ha una data esatta: 3 marzo 2001. Quel sabato sera, punto bianco in un tourbillon di luci dell’Ariston, Elisa, cantante di appena 23 anni, si lascia alle spalle giganti come i Matia Bazar e Giorgia. Solleva in alto l’ambita statuetta del leone ed è la prima e unica monfalconese, la prima e unica isontina, la prima e unica cittadina del Friuli Venezia Giulia a riuscire nell’impresa di incantare Sanremo. Con “Luce (Tramonti a nord est)” vince tutto. Festival e Premio della critica Mia Martini. Trionfa nella Miglior interpretazione e poi incassa il riconoscimento della Giuria di qualità. Porta a casa pure quello di Radio e tv e il premio Autori. Perché a Elisa, le cose, piace farle bene.
Sono passati, ieri, vent’anni da quel giorno indissolubile. Nel video dell’epoca la si vede, capelli sciolti, danzare a piedi nudi con la Carrà. Che si complimenta per la sua grazia. A riguardarla oggi Elisa è uno scricciolo con la frangetta. Giovanissima, esile eppure carsica, resistente, determinata come pochi nell’imprimere la svolta della vita, iniziata cantando ai microfoni della Bisiacaria. Una voce potente e sottile, inarrivabile. È la cantante stessa, sul suo profilo social, a ricordare l’importante tappa della carriera artistica, svelando anche dettagli inediti. L’iconico completo bianco? Disegnato da lei. Il colore, sintesi additiva di tutte le tonalità dello spettro visibile, non scelto come connotato essenziale e distintivo, ma perché simbolo del «lutto nella cultura cinese». Infatti c’è stata tanta «Luce» e grazia, in quei giorni. Ma anche ombra, sofferenza. È lei stessa a scriverlo: mentre stava sul palco il padre, con cui non ha mai nascosto di aver avuto un rapporto complicato, si trovava in un letto d’ospedale. È mancato nel gennaio 2015, una pagina dolorosa. Nove anni prima, la figlia, gli dedicava “Stay”.
«Avevo ventitré anni, avevo fatto due album in inglese ed era la mia prima volta in italiano e la canzone che avevo scritto parlava di una storia vissuta sulla mia pelle – scrive Elisa sul suo profilo Facebook –. Mio padre durante quella settimana sanremese si trovava in coma per un ictus e non sapevo se al mio ritorno lo avrei rivisto, il nostro rapporto era sempre stato controverso e irrisolto, ma la sua condizione mi toccava profondamente». «Io – prosegue – mi svegliavo prestissimo e andavo a correre sulla spiaggia per restare concentrata e calma. Mi ero disegnata i vestiti che indossavo sul palco, tutti sempre e solo bianchi, perché era il colore del lutto nella cultura cinese che in quel momento studiavo molto e rappresentava per me la fine della storia d’amore di cui parlavo nella canzone. Quei giorni sono stati una prova di equilibrio, potevo contare sulle mie forze, ma ero abituata a farlo e l’ho fatto». Elisa è tornata a casa con «la consapevolezza d’aver vissuto una cosa grande e irripetibile, anche per questo non sono mai più tornata in gara, ma solo come ospite». Nel post la cantante ringrazia tutte le persone che «hanno reso possibile quel momento».
È vero: nulla è stato come prima. In una frazione d’applauso tutti i sacrifici per emergere trovano finalmente un riscatto. La fama, la breccia nel cuore del vasto pubblico. La luce di tutti i riflettori.
Nella storia di Elisa c’è la scommessa di chi ci ha provato, ha sofferto, ha lottato e infine ha vinto. Mica sempre va così. A Sanremo, poi. E non serve scomodare Tenco, ché anche la vittoria mancata per un soffio può bruciare per anni. Ma per Elisa la musica «non è gara», la passione tira fuori solo il meglio. E lei è stata il vero miracolo di Monfalcone. —
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